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MEGLIO IL TEST INVALSI O IL TEST KOBAYASHI MARU?

"L'utilizzazione di test standardizzati nelle scuole e nelle università continua a suscitare un dibattito molto acceso." [1]



La critica principale che viene rivolta alle prove come Invalsi o ai test di ingresso al numero chiuso universitario è che misurano la memoria e non la capacità di comprensione. È difficile correlare questa critica con i test effettivamente erogati. Quelli rivolti alla seconda e quinta elementare sembra costringano effettivamente gli allievi a ragionare e non a ricordare.





Ma potremmo anche fare una seconda riflessione: il test, in se, è uno strumento: un mezzo e non un fine! Una risposta a test, di per se, non dice proprio nulla. Non dice nulla sul candidato nel caso la risposta sia corretta, non dice nulla sulla sua preparazione nel caso sia sbagliata. Sono funzionali altre variabili, come, ad esempio, la frequenza statistica con cui rispondono altri nelle sue stesse condizioni. Per chi desidera approfondire quali siano le procedure del test Invalsi consiglio la lettura del seguente documento

Ora voglio divertirmi un poco, e prendere in prestito il concetto tratto da una sceneggiatura cinematografica: quella del  film Star Trek nella versione del 2009 diretto da  J.J. Abrams.
I cadetti ufficiali, per entrare in Federazione, devono partecipare al temibile test KOBAYASHI MARU. Da quando è stato elaborato, nessuno lo ha mai superato. L'unico che lo supererà sarà il futuro comandante James Tiberius Kirk. Per superarlo, egli utilizzerà una tecnica non proibita, ma eticamente discutibile. 
L'ufficiale e scienziato Spock, ideatore del test, spiega nel film la vera natura della prova: non è importante che il candidato la superi, ma come la affronta. La simulazione serve a mettere alla prova il comportamento di un cadetto davanti a una situazione senza vie d'uscita, di fronte alla quale un capitano deve mantenere il controllo su se stesso e sul suo equipaggio.

Dunque può capitare che il risultato di un test non dia alcuna informazione utile sulla preparazione e spirito critico di un candidato, piuttosto che sul suo apprendimento puramente ripetitivo.
E ciò pone l'accento sulla maggiore responsabilità che ricade sull'esaminatore, il quale dovrà interpretare il risultato grezzo del test. E, per giunta, non cadere nell'errore dell'effetto Pigmalione

Richard Feynman  - Foto Wikipedia 
Questo concetto è espresso magistralmente in un paio di libri di grande popolarità, basati sulla vita del Premio Nobel per la fisica Richard Feynman[2][3]

Feynman ricorda che da bambino  “il padre lo porta a passeggiare e gli fa vedere che cosa c’è sotto le pietre, gli parla delle cose che si vedono e poi, più in generale del mondo….. gli fa capire che non importano le nozioni vuote, i nomi, ma conta comprendere come le cose funzionano veramente. Se c’è un uccello che vola davanti a loro, gli spiega che non importa sapere come si chiama, ma capire quello che sta facendo e come lo fa". [4].  

Su questa fondamentale differenza basa il suo modo d’imparare e il suo modo di insegnare

Diversi anni dopo, negli anni Cinquanta, ormai docente al Caltech, lo scienziato ci descrive l’esperienza vissuta in una università di Rio del Brasile in cui era stato invitato come visiting professor.

Supponiamo - spiega - di chiedere a uno studente del biennio scientifico cosa sia la “Triboluminescenza".
E lo studente risponda che la  "Triboluminescenza è la luce emessa quando si frantumano i cristalli."

"E’ scienza questa? – commenta – No! Solo la descrizione di che una parola significa in termini di altre parole. Non vi viene detto nulla sulla natura: quali cristalli producano luce quando sono frantumati, perché producano luce  - sarebbe stato meglio, continua Feynman, se invece fosse stato scritto -  Quando prendete una zolletta di zucchero e la rompete con un paio di tenaglie al buio, potete vedere un lampo bluastro. Alcuni cristalli si comportano così. Nessuno sa perché. Il fenomeno è chiamato triboluminescenza - In tal modo qualche studente incuriosito avrebbe potuto ripetere l’esperienza a casa: una vera , non vuote parole... ".
In questo discorso di Feynman si ritrova tutto ciò che ha imparato dal padre da piccolo, i nomi non dicono nulla, non s’impara da una definizione ma dalla descrizione di come funzionano le cose. 

E ora... godiamoci la soluzione del test KOBAYASHI MARU originalmente risolto dal futuro comandante della USS Enterprise, James Tiberius Kirk. 




[1]  Fonte:  Il Sole 24 Ore 
[2] «Sta scherzando Mr. Feynman!» Vita e avventure di uno scienziato curioso.
[3] «Che ti importa di cosa dice la gente?» Altre avventure di uno scienziato curioso.
[4] E. Castellani e L. Castellani  “FEYNMAN la vita di un fisico irriverente” della collana “i grandi della scienza”, Le Scienze, anno VI, n.35, novembre 2003, p.1

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