L’ILLUSIONE DELLA CONTINUITA’
Come tanti altri insegnanti di matematica, anch’io ho affermato che una funzione è continua quando, per disegnarla, “non si stacca la matita dal foglio”. Ciò in quanto, tramite il disegno, si “occupa” tutto l’insieme dei numeri reali, che è rappresentato dall’asse x del piano cartesiano, e non si lascia nessun “buco”. Se invece, per tracciare una funzione, dovessi necessariamente staccare la matita dal foglio e riprendere il disegno in un punto successivo, ciò implicherebbe che la funzione non è continua.
Anche in statistica, quando si parla di variabili casuali, cioè di oggetti (in senso matematico) che possono assumere differenti esiti, e a ciascun esito è associata una probabilità, occorre specificare cosa si intende per variabili casuali continue e discrete. In genere dico che, se la variabile casuale ha come oggetto il numero di figli per famiglia, questo numero può essere 1 oppure 2 o 3, ma non certo 1,5 o 1,7, di conseguenza, la rappresentazione della variabile casuale “numero di figli per famiglia” mostrerà buchi dell’asse reale corrispondenti a tutti i numeri compresi tra 1 e 2 ed anche tra 2 e 3 e via di seguito. In maniera analoga, la variabile casuale “lancio di un dado” ha 6 differenti esiti (corrispondenti alle sei possibili facce), e ad ogni esito è associata la probabilità di 1/6: dato che non è possibile che esca la faccia 1,3, la variabile in questione è discreta. Se invece dovessimo costruire una variabile casuale i cui esiti sono i possibili chilometri all’ora percorsi da un’automobile, diremmo certamente che essa è continua, perché effettivamente la lancetta del contachilometri varia nel continuo, potendo essere la velocità, ad esempio, anche 50,4356789 chilometri all’ora.
Raccontato in questi termini, il concetto di continuità appare assoluto. Un oggetto è continuo, oppure non lo è: la continuità non dipende da nulla. Ma le cose stanno davvero così? Ho avuto recentemente modo di conoscere il Prof. Yaroslav Sergeyev ed ho iniziato a studiare il suo nuovo approccio alla matematica, basato essenzialmente sulla fisica. Ho già trattato gli aspetti generali in “La fisica dell’infinito”, il calcolo dei limiti in “A cosa serve l’infinito?” e la probabile modifica dei programmi di analisi matematica in “Matematica, infinito e programmi scolastici”. Mi sto occupando di questo nuovo approccio soprattutto perché non capita tante volte nella vita di poter studiare e cominciare a capire una matematica nuova, quando chi la sta elaborando è in vita ed è possibile interagire con lui, in modo tale da poter poi trasmettere agli studenti finalmente qualcosa di nuovo, utile e semplice.
Nell’articolo “Numerical point of view on Calculus for functions assuming finite, infinite and infinitesimal values over finite, infinite and infinitesimal domains”, il Prof. Sergeyev sviluppa un nuovo concetto di continuità, a partire dall’idea di continuità tipica della Fisica. Scrive che “se osserviamo un tavolo tramite i nostri occhi, lo vediamo continuo. Se usiamo un microscopio per la nostra osservazione, vediamo il tavolo discreto”, ovvero composto di tante particelle separate fra di loro. Dunque noi decidiamo come vedere l’oggetto e, a seconda dello strumento utilizzato, l’oggetto può essere continuo o discreto. I nostri occhi sono troppo deboli per consentirci di vedere, ad esempio, le molecole. Ciò implica che in fisica la continuità è relativa, in quanto dipende, innanzitutto, dallo strumento di osservazione utilizzato.
E allora perché in matematica dobbiamo considerare un concetto assoluto di continuità? Perché una funzione può essere solo discreta oppure solo continua? Come mi ha detto il Prof. Sergeyev, in un colloquio del 16 aprile a Torino, “la continuità (in senso assoluto) è un’illusione”. Ha poi aggiunto che “in seguito alla rivoluzione della Fisica Quantistica, non possiamo più considerare l’oggetto in assoluto, ma dobbiamo prendere in esame l’oggetto in rapporto allo strumento. Ciò in quanto l’osservatore modifica l’osservazione, poiché egli interagisce con lo strumento”.
Il fine della nuova matematica del Prof. Sergeyev e la base su cui si fonda il suo nuovo concetto di continuità è il postulato numero 2: “Non diremo cosa sono gli oggetti matematici che trattiamo, noi costruiremo solo strumenti più potenti che ci permetteranno di migliorare le nostre capacità di osservare e descrivere le proprietà degli oggetti matematici”. Cercherò ora di descrivere, nel modo più semplice possibile, la “Sergeyev's continuity”.
Prendiamo un intervallo compreso tra “a” e “b” e scegliamo il nostro strumento per osservare i punti nell'intervallo - un sistema numerale che ci permetterà di scrivere certi (ben definiti) numerali che possiamo usare per esprimere le coordinate dei punti nell'intervallo. Quindi, per noi l'intervallo consisterà solo di questi punti osservabili perché il nostro sistema numerale (il nostro microscopio) non ci permette di vedere nient'altro. Tra i punti osservabili consideriamo un punto “x”. Allora tra i punti osservabili con il nostro microscopio ci sono “x(+)“ il più piccolo punto, compreso nell’intervallo, superiore a x e “x(-)“ il punto più grande, compreso nell’intervallo, inferiore a x. Scegliendo una determinata unità di misura, possiamo affermare che l’intervallo, che definiamo insieme X, è continuo rispetto all’unità di misura scelta se, per ciascun punto appartenente all’intervallo (esclusi gli estremi) le differenze “x(+) - x” e “x – x(-)“ corrispondono a numeri infinitesimi. Nel sistema numerico del Prof. Sergeyev, che contiene il “gross one”, cioè il più grande fra i numeri naturali, un infinitesimo non è nient’altro che 1 fratto gross one, cioè gross one elevato a meno 1. Di conseguenza se le differenze prima citate sono potenze negative di gross one, l’insieme X è continuo. Grazie a questo sistema numerico, diventa anche possibile considerare differenti ordini di continuità, valutando diverse potenze negative di gross one, poiché gross one alla meno 1 è diverso da gross one alla meno 2 e via di seguito.
Questo nuovo concetto matematico di continuità è coerente con quello fisico, che varia rispetto allo strumento di osservazione usato. Nel caso matematico, lo strumento è rappresentato dal sistema numerale scelto per esprimere le coordinate dei punti e dall’unità di misura. Il Prof. Sergeyev, nell’articolo prima citato, spiega anche con esempio, come sia possibile che lo stesso insieme X sia prima continuo, in base ad una certa unità di misura, e poi diventi non continuo appena si cambia in modo opportuno l’unità di misura. In particolare, se prendiamo un intervallo costituito da 5 punti equidistanti e diciamo che, in base all’unità di misura “u” la distanza, fra ogni punto e quello successivo, è pari a gross one alla meno 1 (cioè infinitesima), possiamo affermare, in base alla precedente definizione della “Sergeyev continuity”, che l’insieme X è continuo.
Ma se cambiamo unità di misura e ne scegliamo una, definita “v”, che è pari alla precedente (u) moltiplicata per gross one alla terza, allora lo stesso insieme X diventa non continuo. Infatti, la distanza fra ciascun punto e quello successivo, sarà pari a gross one alla meno 1 per gross one alla terza, cioè a gross one alla seconda (quando le basi sono uguali, in questo caso le basi sono entrambi gross one, gli esponenti si sommano: - 1 + 3 = 2), vale a dire una distanza infinita, non infinitesima.
Spero di aver spiegato la “Sergeyev's continuity” in maniera abbastanza comprensibile, poiché intendo ribadire che si tratta di un concetto di continuità più semplice rispetto a quella tradizionale, più aderente agli attuali standard della Fisica e maggiormente in grado di fornire informazioni sull’oggetto di cui si valuta la continuità stessa. In ogni caso, per tutti i lettori interessati, tornerò senz’altro sull’argomento e scriverò altri articoli. La lettura in sequenza cronologica di tutti gli articoli consentirà un grado di comprensione sempre maggiore.
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