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Piemonte, il paradosso di una grande tradizione industriale che non riesce più a generare futuro

 A cura di Giovanni Firera



L’acquisizione di Italdesign da parte del gruppo indiano UST non è soltanto un passaggio societario: è l’ennesimo segnale di una trasformazione profonda, quasi silenziosa, che da anni investe il Piemonte e, in particolare, Torino. Dopo Pininfarina e Iveco, un altro simbolo dell’ingegno industriale torinese cambia padrone. E non accade perché manchino competenze o qualità professionali: accade perché il territorio non è più in grado di trattenere, valorizzare e far crescere ciò che produce.

Torino era la capitale dell’auto, un laboratorio permanente dove idee, design e innovazione diventavano industria. Oggi è un bacino di competenze che altri acquistano, integrano, sfruttano. Le eccellenze non scompaiono: semplicemente, si trasferiscono sotto altre bandiere. La mobilità del futuro, la digitalizzazione, l’ingegneria avanzata trovano casa nel design torinese, ma non più nelle strategie piemontesi. L’innovazione arriva a Torino, non parte più da Torino.

Il problema non è l’India, né le multinazionali: il problema è un territorio che da almeno due decenni non sviluppa una politica industriale degna della sua storia. Mentre Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno costruito nuovi distretti – biotech, digital manufacturing, AI, robotica, green tech – il Piemonte è rimasto immobile, quasi paralizzato dal mito del suo passato. La transizione ecologica ed elettronica dell’automotive è stata subita più che governata; gli investimenti pubblici e privati sono rimasti fragili; il dialogo tra università e industria non ha generato ecosistemi comparabili a quelli delle regioni più dinamiche.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le aziende innovative crescono solo quando arrivano capitali dall’estero. Non perché manchi il talento, ma perché manca una strategia. Italdesign, come Pininfarina prima di lei, non trova nel Piemonte un contesto in grado di sostenerne la trasformazione. E così la rigenerazione industriale avviene altrove, guidata da gruppi che vedono in queste realtà ciò che la politica regionale non ha saputo vedere: un patrimonio di idee straordinario, ma lasciato senza un progetto.

In questa fotografia grigia c’è una sola eccezione: il settore aerospaziale. Qui il Piemonte funziona, cresce, compete. Qui la regione ha investito, ha favorito sinergie, ha creduto nella ricerca. Il cluster guidato da Thales Alenia Space e Leonardo dimostra che quando si crea una visione e la si sostiene, il territorio risponde. L’aerospazio è oggi ciò che l’automotive è stato ieri: il modello di ciò che il Piemonte potrebbe essere, se avesse il coraggio di scegliere l’innovazione come priorità.

Perché la verità, che questa vicenda rende evidente, è semplice: il Piemonte non è affatto un territorio privo di potenzialità. È un territorio privo di direzione. Le competenze ci sono, le scuole ci sono, i talenti ci sono. Manca un disegno industriale, una regia capace di orientare la trasformazione tecnologica anziché limitarsi a osservarla.

L’uscita di scena italiana di Italdesign non è una sconfitta inevitabile: è la conseguenza di ciò che non si è fatto. È il simbolo di una regione che rischia di vivere soltanto di acquisizioni e non di ambizioni. Ed è, soprattutto, il monito che il Piemonte dovrebbe ascoltare prima che altre eccellenze seguano la stessa strada.

Per ricostruire una leadership industriale non basta custodire la memoria della tradizione: bisogna avere il coraggio di reinventarla. Solo allora Torino smetterà di essere un luogo da acquistare e tornerà a essere un luogo da cui l’innovazione prende forma.




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