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VERSO L'IBERNAZIONE UMANA

Foto di Walter Caputo
Sono le 11:00 di un giorno qualunque, caro lettore. Mentre stai lavorando il tuo cuore si ferma. Fortunatamente ti trovi in un locale provvisto di defibrillatore e vieni soccorso in tempo. In ospedale, la tua barella corre velocissima e vedi solo più il soffitto, poco dopo il nulla. Quando ti risvegli, accanto al tuo letto c’è tua moglie che sta parlando con il chirurgo. Ti è stata praticata l’ipotermia terapeutica e – grazie al raffreddamento fisico – la temperatura del tuo corpo è scesa da 37 a 34°C. Ora il calore del tuo corpo è tornato normale, ma il tuo cervello ha subito una deprivazione di ossigeno e glucosio per troppo tempo. Ti viene comunicato che – purtroppo – non è stato possibile evitare danni permanenti al cervello.

Ora, riavvolgiamo il nastro. Sono trascorsi alcuni anni e la scienza è riuscita ad indurre nell’uomo un’ipotermia molto più profonda, fino a 20 °C. Anche il cuore di tuo figlio si è fermato, ma grazie ad un’ipotermia che assomiglia ad un’ibernazione, lui non ha riportato danni al cervello.

Sono trascorsi alcuni decenni e tuo figlio è diventato anziano. Purtroppo gli viene diagnosticata la malattia di Alzheimer. Nel suo cervello viene rilevata l’iperfosforilazione della proteina Tau. In tale condizione questa proteina si stacca dai microtubuli, che formano il citoscheletro e forma degli aggregati tossici per la cellula. Negli animali, durante l’ibernazione, succede la stessa cosa, ma – nel loro caso – entro poche ore dal risveglio, la proteina Tau risulta completamente defosforilata. Grazie ad alcuni ricercatori – dopo decenni di studi ed esperimenti scientifici – il meccanismo di defosforilazione è stato compreso. Così la memoria e le funzioni cognitive di tuo figlio si sono salvate. 

 A tuo fratello, di 10 anni più giovane di te, è stato irradiato un tumore in ipotermia. Ha potuto sopportare una dose di radiazioni molto più elevata del solito, in quanto alcuni scienziati hanno scoperto che gli animali ibernanti sono molto radioresistenti. Lo stato di ibernazione di tuo fratello ha consentito una protezione dei tessuti attigui al tumore, cosicché quest’ultimo è stato colpito con tutta l’artiglieria radioattiva. E ha perso. Tuo fratello si è salvato. Sono trascorsi altri anni, ma non ci sono state recidive.

Tuo nipote, grazie all’ibernazione ha potuto superare i confini del nostro Sistema Solare, andando ad esplorare – di persona – zone dell’Universo che nessuno aveva mai visto prima. Nella sua astronave c’era meno cibo ed una minor produzione di rifiuti, perché durante l’ibernazione non è necessario alimentarsi e non si producono scarti biologici. L’ibernazione di tutti i membri dell’equipaggio ha consentito di ridurre i tempi in cui più persone devono vivere in spazi ristretti, fornendo una parziale soluzione al fenomeno della cabin fever. Inoltre, in uno stato ridotto di coscienza, non si è potuto verificare alcun episodio psicotico. L’ibernazione ha consentito anche di mantenere in efficienza muscoli ed ossa. Se potesse proteggere gli astronauti anche dai raggi cosmici, sarebbe semplicemente perfetta.

Ho elaborato – in maniera narrativa -  tutte le situazioni sopra esposte grazie al bel libro di Matteo Cerri, “A mente fredda – l’ibernazione dal mondo animale all’esplorazione spaziale”, pubblicato da Zanichelli nella collana “Chiavi di lettura”. Spero di aver reso l’idea di cosa significhi riuscire ad indurre l’ibernazione in un essere umano, e quanto sia importante come obiettivo

Walter Caputo
Science Writer

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