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LA NUOVA LEGGE CHE AMMORBIDISCE IL REGOLAMENTO SUL FALLIMENTO

Una nuova legge, emanata all’inizio del 2016 dal governo Renzi, prevede l’eliminazione definitiva della parola “fallimento”.

Matteo Renzi
Matteo Renzi - Drop of Light / Shutterstock.com

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Non è semplicemente il trionfo del “politically correct”, bensì una vera e propria riforma strutturale nella fase delicata di smembramento di un’azienda che non riesce più a rispettare determinati parametri, motivo per cui non può che cessare di esistere.

Anche se in linea generale non è permesso sbagliare nel mondo del business, nel caso in cui il problema fosse legato alla negativa sinergia dell’economia in crisi attuale, è giusto che ci sia un’ancora di salvezza cui appigliarsi.

Secondo i dati di Infocamere, la società informatica che fa capo ad Unioncamere, nel 2015 hanno fatto bancarotta 12583 imprese, il 4,8% in meno rispetto all’anno prima; per la prima volta dal 2011 i fallimenti sono in diminuzione.


Renato Rordorf, Presidente aggiunto della Corte di Cassazione, ex commissario della Consob, ha ricevuto nel 2015 dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando l’incarico di guidare la commissione che doveva mettere a punto il testo di legge sul fallimento. Le linee guida che egli ha voluto seguire riguardano l’eliminazione del ricorso agli enti commissariali straordinari per il salvataggio delle grandi (ma alla fine anche delle piccole) aziende tramite l’apparato burocratico, l’azione preventiva di tentativo di accordo tra le parti già prima dell’inevitabile, tra debitori e creditori con piani di ristrutturazione e proposte di risanamento, tenuto conto di alcuni indicatori che facciano presagire con relativa certezza la possibilità di una chiusura irreversibile dell’apparato aziendale.

Non si parla più di fallimento, ma di procedura semplificata di liquidazione giudiziale dei beni, in cui si può innestare un concordato tra le parti insolventi e creditrici, con la possibilità di effettuare una procedura anche per gruppi di imprese.

Parametri-spia per presagire la “crisi finale” sono l’incapacità di versare i contributi per i dipendenti, fase da affrontare extra-giudizialmente tramite mediatori creditizi.

Per il ristabilimento dell’accordo tra debitori e creditori le regole processuali sono semplificate, con i tribunali delle imprese che seguono procedure di imprese maggiori, i tribunali dotati di personale specializzato per le imprese delle imprese minori.

Si prevede nella riforma sul fallimento un concordato in continuità, che consenta una prosecuzione temporanea dell’attività fino al termine del saldo dei pagamenti.

È stata istituita anche il “Common”, ossia una piazza telematica che trasforma i crediti incagliati in buoni da spendere su di una piattaforma nazionale delle vendite fallimentari; l’esdebitazione” può essere ottenuta più facilmente non solo dalle persone fisiche, ma anche dalle società. 

Se volete più informazioni sulla nuova legge potete consultare gli avvocati specializzate in Fallimento su Studilegali.com

2 commenti

Unknown ha detto...

Quando un'azienda fallisce, i primi a rimetterci sono i dipendenti che rimangono senza lavoro. Se la nuova legge li tutela, è una buona legge, altrimenti non lo è.

Un'ottima legge andrebbe anche ad indagare le cause dell'ormai ex fallimento, andando a vedere se ci sono responsabilità dell'imprenditore, che voleva portare soldi all'estero e non investire nella sua azienda ad esempio, oppure da parte di soggetti esterni, come le banche, che in molti casi anziché avere dei crediti da riscuotere, hanno estorto per anni migliaia di euro alle aziende in totale illegalità, come dimostra l'azione di aziende come SDL Centrostudi, che combattono questo tipo di reati. Di conseguenza, diversi imprenditori falliscono a causa delle banche che risultano fra i creditori, un paradosso di illegalità

Paolo ha detto...

Le banche molte volte sono fra le cause dei fallimenti perché sono sempre pronte a richiedere il rientro dei fidi non appena un imprenditore inizia ad avere dei problemi. Ciò che non è noto è che in realtà le banche in molti casi sono debitori nei confronti della stessa persona alla quale chiedono di rientrare. Prima le banche restituiscano i soldi alle persone, poi eventualmente le persone pagheranno il dovuto