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LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO PER LA SALUTE E PER L’AMBIENTE


Tutti abbiamo a che fare con il rischio, quasi tutti i giorni. Mio figlio non ha ancora compiuto 10 anni e quando gli dico: “Stai attento perché può succedere questo….”, lui risponde: “ma papà, non è mai successo!”. Poi arriva mia madre che mi dice: “Mi raccomando, non prelevare al bancomat di sera, è pericoloso!”. E non parlo di mia suocera, che mette fuori dal frigo molti alimenti che andrebbero conservati all’interno. Anche lei ignora molte cose sui rischi e sulla sicurezza alimentare. Mi sono laureato in Scienze Statistiche con una tesi di risk management, cioè di gestione del rischio e mi occupo (anche) di formazione per la sicurezza sul lavoro. “La comunicazione del rischio per la salute e per l’ambiente”, scritto da Giancarlo Sturloni e pubblicato da Mondadori Università è perfetto per gli RSPP (Responsabili Servizio Prevenzione e Protezione). Per queste figure professionali la comunicazione del rischio è molto importante; non è facile infatti far capire ai lavoratori che corrono rischi effettivi, reali e che devono indossare determinati DPI (Dispositivi di Protezione Individuali), anche quando non ne hanno voglia oppure fa caldo.


Ma il libro di Sturloni non è un libro destinato solo ai professionisti del rischio, in quanto è scritto in modo che sia comprensibile da chiunque. E’ infatti un’opera divulgativa, organizzata come un piccolo manuale, corredato da utili sintesi a fine capitolo, check list, spazi per le note a margine, una sintesi finale ed un’ampia bibliografia. Non manca neanche l’indice analitico, ma soprattutto è chiaro, asciutto e fornisce il quadro generale sia della teoria che della pratica della comunicazione del rischio.

Ci sono alcuni elementi del libro che mi hanno particolarmente colpito. Innanzitutto il fatto che, soprattutto in caso di rischi nuovi ed emergenti, dobbiamo accettare di non sapere o di sapere poco e che si cercherà di fare il possibile per capire ed intervenire. E sono proprio i grandi disastri (come Chernobyl, Seveso, Fukushima) che ci portano a normare una serie di regole di comunicazione del rischio. Qui occorre dire che l’onestà paga, nel senso che le istituzioni non devono negare, né sminuire il rischio, ma comunicarlo così com’è, anche ammettendo di non sapere tutto. D’altronde, le persone non reagiscono soltanto sulla base del calcolo delle probabilità, di conseguenza all’aspetto tecnico del rischio occorre associare quello “psicologico”: qual è il rapporto fra cittadini ed istituzioni? Si tratta di un rapporto di fiducia? E poi i rischi, in che modo sono distribuiti?

Ci sono quindi altri fattori da considerare, come ad esempio se il rischio è almeno parzialmente controllabile, se è associato a cause naturali oppure antropiche, se ha implicazioni moralmente rilevanti e se i danni saranno reversibili o irreversibili. Eppure molti sono ancora legati al cosiddetto “modello deficitario”, cioè pensano che il comportamento – apparentemente inspiegabile – delle persone rispetto ai rischi sia semplicemente e soltanto dovuto ad una scarsa o scarsissima alfabetizzazione scientifica. 

È questo il motivo per cui (e qui concludo) si tratta di un libro che svela nuove chiavi di lettura per comprendere i grandi dibattiti attuali: dai vaccini alla sicurezza alimentare, passando per il nucleare, gli OGM e la tecnica CRISPR.

Walter Caputo
Formatore e Divulgatore

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