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SI PUÒ AMARE UN IPHONE? TUTTE STR**ZATE!




Ci sono cascati proprio tutti: per primo il New York Times, poi i giornali internazionali e, infine, l'agenzia di casa nostra (ANSA) e alcune testate tra cui l'immancabile Repubblica e Wired Italia.

Non ci casca invece Wired USA, che pubblica una smentita definendo una emerita str°°zata la notizia riportata dal suo stesso giornale nella declinazione in lingua  italiana.

Tutto è iniziato pochi giorni fa dal New York Times, in un editoriale dello "stratega di marketing" (sic!) Martin Lindstrom, che sostiene che gli studi con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) dimostrerebbero che il rapporto che si instaura con il proprio iPhone sia simile al rapporto di amore che si instaura tra due innamorati. Tale è il legame con il dispositivo - continua l'esperto - che ci si sorprende durante il giorno a sentirlo vibrare in tasca anche se non è vero.

In effetti si poteva inturire  che da un campione di studio  rappresentato da una ventina di individui (rappresentativo di che?) non si potessero trarre conclusioni statistiche scientificamente accettabili, come invece voleva farci intendere Lindstrom. Senza contare il riferimento al neuroimagin(fMRI).


E infatti pochi giorni dopo due specialisti di neuroimaging, Russ Poldrack e Tal Yarkoni, hanno definito l'editoriale del New York Times una emerita fesseria. Per dirla in parole semplici, come Russ e altri hanno più volte sottolineato, il fatto che una determinata regione del cervello si attivi quando le persone sono in uno stato psicologico particolare (ad esempio, l'amore) non ti dà licenza a concludere che questo stato è presente solo perché si vede l'attività nella regione corrispondente.
La corteccia insulare, in questo caso, è stimolata dal linguaggio, dalla memoria di lavoro, dal dolore fisico, dalla rabbia, dalla percezione visiva, dal sequenziamento e dal recupero della memoria: sapere che l'insula è attiva è di poco valore diagnostico.

Così, concludono i due scienziati, prima di parlare si dovrebbe fare attenzione ad affermare che uno studio fatto con la risonanza magnetica funzionale dimostri che le persone siano dipendenti da qualcosa.

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