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LA VERA SCENA DEL CRIMINE: SCHELETRI, FOSSE, LARVE E RADICI

Qui non siamo a Miami o a New York. E neanche a Las Vegas. Scordatevi quindi le indagini della polizia scientifica nelle fiction americane. Se volete avere un’idea di cosa significhi veramente un sopralluogo sulla scena di un crimine, allora va meglio Milano, Italia, in particolare il Labanof (Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’Università degli Studi di Milano), le cui imprese sono narrate in Crimini e farfalle – Misteri svelati dalle scienze naturali” di Cristina Cattaneo e Monica Maldarella (Raffaello Cortina Editore, 2006).

La fiction scientifica è senz’altro utile per raggiungere, tramite la TV, milioni di persone, e fornisce una rappresentazione cinematografica di uno spaccato di realtà. Ma chiunque abbia seguito una o più serie TV riguardanti le indagini della polizia scientifica, prima o poi si chiede: ma sarà tutto vero? Ma è mai possibile una cosa del genere? Queste cose strane succedono solo negli Stati Uniti?

Se il telespettatore non cerca di soddisfare la sua curiosità, si può affermare che – dal punto di vista della divulgazione scientifica – la fiction è stata un fallimento. Se invece la curiosità del soggetto risulta stimolata a tal punto da indurlo a cercare risposte, è evidente che la fiction è stata un successo. A questo punto, il volumetto divulgativo sopra citato è un ottimo strumento per cominciare a distinguere la realtà dalla finzione ed apprendere dei fondamenti di medicina legale, o meglio per capire come le scienze naturali possano dare un preziosissimo aiuto al processo di identificazione di un cadavere, di stima della data di morte e delle cause del decesso.

Quando la Polizia, i Carabinieri o il magistrato incaricato richiedono l’intervento del Labanof, specialisti di varie discipline accorrono sulla vera scena del crimine. Chi sono i protagonisti della squadra? Dipende da una serie di elementi.

Se si tratta di uno scheletro, dovrà essere presente l’antropologo forense. Accade infatti di frequente che vengano trovate ossa umane: può trattarsi di uno scavo archeologico, di un bosco, ma anche di una città. L’antropologo forense è in grado di “stabilire se appartengono a uno o più individui, se alla nostra epoca o a epoche antiche, se sono resti di una necropoli o di un vecchio cimitero” (in questo articolo, le frasi tra virgolette sono estratte dal libro citato).

Egli si avvale naturalmente di strumenti tecnologici: analizza al microscopio le unità base delle ossa per stimare l’età del cadavere, utilizza la microscopia elettronica a scansione per rivelare piccole scalfitture da arma da taglio, si avvale della TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) per osservare le cavità interne delle ossa, al fine di scoprire fratture o focolai infettivi.

Per stimare il numero minimo di cadaveri, semplicemente conta le ossa. E per capire il sesso osserva soprattutto le ossa del bacino: le donne hanno il bacino più largo rispetto a quello maschile, inoltre presentano l’arco sotto il pube più ampio. Per stimare l’età, invece, analizza l’accrescimento osseo e dentario, in quanto – fino a 30 anni – è un buon indicatore dell’età. Ciò in quanto le fasi di crescita sono piuttosto conosciute e standardizzate, ma oltre i 30 anni i “marcatori dell’età quali il grado di usura delle articolazioni degli arti, la presenza di becchi artrosici vertebrali e la decalcificazione (osteoporosi) dell’osso” risultano meno affidabili, “in quanto influenzati da fattori patologici, dietetici e soprattutto occupazionali”. È chiaro che chi, in vita, ha fatto il tennista, ha usurato il gomito molto più della media, e ciò sarà visibile sul suo cadavere, senza che ciò significhi necessariamente che egli sia morto anziano.

Se il caso proposto al Labanof implica la ricerca di un cadavere, ad esempio nascosto sottoterra in un bosco, allora è necessaria la presenza dell’archeologo forense. Chi meglio di lui è in grado di recuperare correttamente un cadavere, rilevandone la posizione originaria e conservando tutti gli elementi nei dintorni del morto? D’altronde è abbastanza evidente che scavare una fossa con una ruspa e usare un badile per riportare alla luce i resti è una procedura assolutamente scorretta, poiché causa la perdita di numerosissime informazioni utili per la magistratura e le forze dell’ordine. Invece l’archeologo forense è in grado di recuperare ogni reperto e documenta ogni strato dello scavo. Anche se si tratta di “scavare” in un’automobile bruciata per recuperare un cadavere.

Ma prima di scavare occorre individuare dov’è nascosto il cadavere. A tal fine si può procedere con la fotografia aerea, per rilevare differenze nella morfologia del terreno, o con la perlustrazione a piedi, “alla ricerca di un reperto interessante: un pezzo di plastica, indumenti, ossa che possano sporgere dal terreno, o addirittura macchie di vegetazione o di insetti che possano far pensare a sottostanti processi di decomposizione”. Altri metodi implicano l’uso di strumenti tecnologici o anche di cani da cadavere, utili soprattutto quando vi siano resti in decomposizione.

Una volta scoperta la zona, occorre prima di tutto scorticare il terreno di soli 10 cm in profondità per evidenziare i margini della fossa. A tal fine si procede esclusivamente in senso orizzontale. Il margine della buca è lo spartiacque fra il terreno intatto e quello “riempito”: quest’ultimo “di solito ha una consistenza e un colore diverso, anche a distanza di anni”.

Riuscite ad immaginare un cadavere ricoperto di larve? È il caso più ripugnante, ed è anche la professione dell’entomologo forense, ovvero dell’esperto di insetti. Le autrici del testo scrivono a tal proposito: “la visione di masse di larve che si muovono tra i tessuti di un cadavere non lascia proprio indifferenti”. Eppure, purtroppo, tutti gli esseri umani, prima o poi, diventano cadaveri e – se esposti – necessariamente cibo per larve. Infatti le mosche riescono ad arrivare pochi minuti dopo la morte e depositano “le loro uova nelle zone del corpo più umide e ombreggiate, negli orifizi e nelle ferite, dove le loro larve possono crescere al riparo dal sole e dalle intemperie”.
Entro un massimo di sei settimane le uova si sono schiuse, le larve hanno attraversato tre stadi di crescita, il successivo stadio di “pupa”, che è la fase che precede l’ultima metamorfosi, e infine la nascita della mosca adulta. Le larve sono in grado di ripulire per intero un cadavere, riducendolo al solo scheletro, in maniera molto più efficiente della macerazione in acqua o della bollitura.

In funzione dello stadio di sviluppo larvale si può datare la morte. Inoltre anche se le larve si sono tutte trasformate in mosche e non ci sono più tessuti molli, è possibile comunque ottenere una stima dell’intervallo post mortem, analizzando le ossa e il terreno intorno al cadavere. Infatti le ossa presentano fori caratteristici lasciati dal passaggio delle larve e, vicino al cadavere, si trovano piccoli ovoidi marroni, che sono i pupari (vuoti), cioè i contenitori che hanno consentito alle larve l’ultima metamorfosi in mosche adulte. I pupari inoltre sono in grado di assorbire le sostanze tossiche ingerite dal soggetto prima di morire e possono conservarle anche per 4 anni. Dunque è possibile fare un’analisi tossicologica, anche quando del soggetto restano soltanto ossa e…. pupari.
Se pensiamo all’incredibile perfezione ed efficienza della Natura, non possiamo far a meno di notare che anche noi ci preoccupiamo di dare cibo ai nostri figli. Perché le mosche non dovrebbero farlo per i propri? A catena, altri insetti, ad esempio le vespe, spesso depongono le loro uova all’interno delle larve, in modo che le larve stesse rappresentino una buona riserva di cibo per i piccoli di vespa.

Infine è possibile che il caso proposto al Labanof richieda l’intervento di un botanico forense. Ciò capita soprattutto quando insieme al cadavere sono presenti resti di vegetali, l’analisi dei quali può condurre ad identificare la località di provenienza oppure il periodo in cui è stato commesso un delitto. Occorre quindi prestare particolare attenzione a foglie, semi e radici. Queste ultime preferiscono localizzarsi vicino ai cadaveri, attratte da acqua, nutrienti, e terreno riscaldato dalla decomposizione. Le radici possono essere sezionate, al fine di contare gli anelli annuali di accrescimento e “confrontare l’età dei resti vegetali con il periodo di sepoltura”.
Inoltre il botanico forense è in grado di stabilire se piccoli resti ritrovati ad esempio in una macchina bruciata appartengono a vegetali o ad esseri umani.

Un posto importante nelle indagini è occupato da pollini e spore, perché si sviluppano in precisi periodi dell’anno (dalla primavera alla fine dell’estate), si trovano dappertutto e resistono, anche per milioni di anni, alla degradazione organica.

Insomma, “Crimini e farfalle” è un testo che ha soprattutto il fine di ricordarci quanto siano importanti le scienze naturali per le indagini forensi. Antropologia, archeologia, entomologia, botanica, ma anche zoologia, geologia e climatologia sono indispensabili per scoprire il colpevole e potrebbero essere un’ottima scelta universitaria per i giovani di oggi. Inoltre sono scienze che ci raccontano come siamo fatti e in che ambiente viviamo, dunque hanno pieno titolo per far parte della nostra cultura.

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