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L'AMBIGUITÀ DEI GENI

«I geni non sono programmi per le operazioni biologiche, ma strumenti per le operazioni biologiche».

Questa la nuova definizione che Marcello Buiatti, celebre genetista intervistato da Marco Pivato su TuttoScienze de La Stampa dell’11 marzo 2009, dà della parola “gene”.

Nell’anno che vede come protagonista Charles Darwin e l’evoluzionismo, il mondo della genetica intende il Genoma non più come il “libro di istruzioni” della vita, ma come una “cassetta degli attrezzi”, fornita dalla natura, per trasformarci e adattarci all’ambiente.


Riporto qui di seguito alcuni passaggi significativi dell’intervista:

Professore, lei sostiene che la definizione di Dna è vecchia, perché? «Va integrata con un nuovo concetto, quello di “ambiguità”. Dire che un gene è ambiguo significa che uno stesso gene è in grado di produrre più di una proteina - fino a 40mila - mentre prima vigeva il dogma “un gene, una proteina” ».
[…]

Se i geni sono gli strumenti, chi è il direttore d'orchestra? «L'ambiente. Perché i segnali che provengono dall'esterno hanno continuamente effetto sull'espressione dei geni. […] L’influenza ambientale viene oggi chiamata epigenetica».

Anche l'epigenetica ha un ruolo nell'evoluzione? «Lamarck lo sosteneva nel “Philosophie zoologique” del 1809, ma fu smentito da Darwin. L'ambiente, in effetti, modifica l'espressione dei geni, non i geni in modo diretto. Quindi gli effetti non si trasmettono alla discendenza. Il mondo esterno interviene nell'evoluzione solo in tempi lunghi, selezionando i caratteri che compaiono casualmente nel Dna. Eppure, oggi, la genetica dà in parte ragione anche a Lamarck».

In che senso? Non è una contraddizione? «Faccio un esempio. Topi che hanno avuto madri affettuose sono più intelligenti e sono a loro volta affettuosi. Le “coccole” inducono una diversa ricettività ai glucocorticoidi, ormoni coinvolti nello stress e nell'affettività. I topi coccolati ottengono anche migliori risultati nei test di laboratorio. Questa abilità psico-fisica non è innata, ma è acquisita dall'ambiente sociale, e, consentendo loro maggiori possibilità di cavarsela nella vita, favorisce la tendenza ad avere prole. Il carattere “coccolone” viene così trasmesso indirettamente anche alla discendenza».
[…]

Il nuovo concetto di ambiguità del gene che effetto avrà sulle teorie evolutive? «Le corrobora, confermando la plasticità del Dna sotto la pressione dell’habitat. Ma non dimentichiamo che cosa comporta l’ambiguità del gene: smonta l’idea che la vita di un individuo sia completamente determinata dall’ereditarietà. Perché, se un gene solo può produrre non una, ma migliaia di proteine, allora non ha senso parlare di “gene dell’intelligenza” o “gene dell’acolismo”. La storia di una persona può modulare quanto è stato scritto alla nascita nel Dna».

Se questa è la realtà delle cose, allora siamo davvero di fronte a un rilevante “cambiamento di paradigma”, che induce ad una lunga serie di riflessioni, a partire dal ruolo del genoma umano nel suo complesso, dalle operazioni di mappatura e dal significato e dalle modalità di utilizzo delle mappe genetiche.

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