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LA MACCHINA DELL'ECONOMIA


Chi tra voi si è già divertito a mettere le mani dentro il motore della propria auto? Alla grande maggioranza delle persone non interessa come faccia un’automobile a camminare, basta che non ci lasci mai a piedi. Però, quando ciò si verifica, sentiamo il bisogno di capire perché è successo e magari come fare ad evitare che il fatto si ripeta. E ci rendiamo conto – dal meccanico – che lui ha un grande potere perché può dirci (o non dirci) qualunque cosa sull’origine del guasto e farci pagare qualunque cifra.

Anche il funzionamento generale dell’economia potrebbe non interessarci, saremmo infatti tutti contenti se l’economia andasse “bene”. Vorremmo ad esempio che il nostro stipendio crescesse sempre, almeno nella stessa misura in cui crescono i prezzi al supermercato; non vorremmo mai sperimentare periodi di disoccupazione; vorremmo che i trasporti pubblici funzionassero perfettamente; vorremmo che le imprese ci facessero pagare cifre oneste in cambio dei beni e servizi che ci offrono.

In termini economici, stiamo parlando di redditi, prezzi, inflazione, disoccupazione, economia del settore pubblico, comportamento delle imprese. Siccome i nostri desideri sono spesso disattesi, ci troviamo di fronte ai misteri dell’economia come di fronte agli enigmi del motore a scoppio. Di conseguenza i politici potranno raccontarci qualunque favola e farci pagare qualunque prezzo.

Ecco perché è necessario comprendere i fondamenti dell’economia. I quali – sintetizzati in forma di principi e trattati in maniera divulgativa ma sufficientemente rigorosa – possono essere i seguenti:

Non possiamo avere tutto ciò che vogliamo, non c’è niente di gratis e – come se non bastasse – dovremmo essere razionali e rispondere agli incentivi.

Il primo problema è che per realizzare beni e servizi occorrono risorse. E le risorse sono scarse. Ciò significa che – in una società – non è possibile garantire a ciascuno il tenore di vita a cui aspira. A parità di risorse possedute, per ottenere qualcosa in più dobbiamo rinunciare a qualcos’altro. Ad esempio, per farci una settimana di vacanza in più, avremo bisogno di 600 euro, che potremmo ottenere facendo gli straordinari, quindi rinunceremo ad un po’ di tempo libero in inverno per avere maggiori vacanze e divertimento in estate.

Se le risorse sono scarse, è chiaro che per averle occorre pagarle: solo se esistessero risorse in quantità illimitata, esse sarebbero gratuite. Ciò implica che dobbiamo continuamente prendere decisioni, se vogliamo utilizzare al meglio le nostre magre risorse. Solo così potremo soddisfare i nostri numerosi bisogni. La teoria economica cerca di prevedere il comportamento delle persone sulla base del fatto che esse siano razionali e rispondano agli incentivi.

Un individuo razionale è un soggetto che agisce sempre con risolutezza e in modo logico, ha obiettivi ben definiti, è motivato unicamente dal desiderio di avvicinarsi quanto più possibile a questi obiettivi e ha la capacità di calcolo necessaria. Inoltre agisce sempre guidato da un calcolo del tipo “benefici meno costi”: prima di intraprendere una determinata azione valuta i benefici netti che può trarne, cioè i benefici al netto dei costi che dovrà sostenere.

Se deve decidere se acquistare una dose aggiuntiva di bene, valuterà il beneficio netto aggiuntivo di quella dose, cioè il “beneficio netto marginale”. Ciò significa che un individuo razionale – essendo dotato della capacità di calcolo necessaria a raggiungere i propri obiettivi – sarà in grado di acquistare – dopo un’accurata ricerca sul mercato – la migliore automobile usata. Sarà un’auto perfetta per quanto riguarda motore e carrozzeria e costerà pochissimo.

Tuttavia spesso l’individuo non è razionale, e quindi si fa bidonare comprando un’auto più volte incidentata ad un prezzo di poco inferiore al nuovo. Ciò perché egli tende ad imitare il comportamento altrui e anche quando i suoi obiettivi sono ben definiti – fatto peraltro non usuale – la sua motivazione a raggiungerli può non essere fortissima. Inoltre, lungi dal possedere capacità di calcolo infinite, si comporta spesso in modo assolutamente stupido; anche quando è intelligente, può essere stanco oppure distratto o ubriaco.

Talvolta è anche incapace di pensare sotto pressione e si fa guidare più dalle sue emozioni che dal suo cervello. Come se non bastasse, non sempre l’individuo risponde agli incentivi: nonostante l’alto prezzo della benzina, molti continuano ad acquistare e ad usare macchine a benzina, e non sono molti quelli che passano al GPL. Tuttavia – anche se gli uomini non sono sempre razionali, né sempre pronti a rispondere agli incentivi – spesso capita che le loro azioni siano molto simili a quelle che un soggetto perfettamente razionale avrebbe compiuto nelle medesime circostanze. Da qui l’utilità della teoria economica. Ma allora la teoria economica è una scienza ?

L’economista non può sperimentare, può soltanto imparare dal passato. Così elabora modelli, che sono una versione semplificata della realtà.

Gli esperimenti economici sono molto più costosi di quelli che si realizzano in fisica. Se pensiamo che – per studiare il comportamento delle particelle – occorrono i sincrotoni, cioè gigantesche macchine acceleratici di particelle, ci viene in mente che i costi degli esperimenti in fisica devono essere alquanto elevati.

Ma proviamo ad immaginare di voler sperimentare la nuova teoria di un giovane economista. Essa prevede il raddoppio di tutte le imposte sul reddito: la sua applicazione potrebbe provocare un disastro economico di proporzioni immani, così grave che – per tornare ad una situazione di “normalità” – potrebbero essere necessari parecchi anni. Quindi, a causa dei costi e delle conseguenze, gli economisti non possono permettersi di sperimentare. Così l’economia non è una scienza al pari della fisica, ma non è inutile. Infatti gli economisti elaborano le proprie teorie sulla base di eventi economici avvenuti in passato, e spesso riescono a fornirne una spiegazione.

Tale spiegazione sarà utile per comprendere eventi simili che potranno verificarsi in futuro. E – siccome gli eventi si verificano solitamente al comparire di determinate circostanze – sarà possibile anche prevedere l’andamento dell’economia nel futuro, osservando le circostanze che caratterizzano oggi il sistema economico. Le teorie economiche non possiedono l’utile determinismo della maggior parte delle leggi fisiche. Ciò in quanto l’economia è un oggetto così complesso che – per descriverlo – occorrerebbero delle formule matematiche difficilissime. Di conseguenza sarebbero pochissimi a poterle comprendere e quindi pochissimi potrebbero capire il funzionamento dell’economia.

La soluzione trovata dagli economisti è quella di elaborare dei modelli che possono offrire soltanto una versione molto semplificata e approssimata della realtà economica, ma sono caratterizzati da un formalismo matematico accessibile. Tale “escamotage” assomiglia alla fisica meno deterministica che conosciamo, cioè a quella quantistica. Essa – tramite il principio di indeterminazione di Werner Heisenberg – ci spiega che non possiamo determinare con precisione sia la posizione che l’impulso della particella: se sappiamo con buona precisione dove si trova la particella non possiamo sapere quasi nulla sulla misura del suo impulso (e viceversa).

Nel momento in cui la fisica quantistica non ci consente di ottenere una misura determinata, ma ci fornisce comunque una distribuzione di probabilità di quella misura, è come se ci dicesse non cosa accadrà, ma cosa è più probabile che accada. Analogamente i modelli economici prevedono – al verificarsi di determinate circostanze – quale sarà l’evento più probabile (ad esempio in seguito ad un aumento delle tasse è molto probabile che i consumi si riducano: le persone dispongono di un reddito inferiore e quindi consumano meno).

Più si produce, meglio è, ma a che prezzo? Il prezzo aumenta se la moneta abbonda.

L’economia ha un’anima totalmente consumistica. Talvolta proviamo fastidio ad essere circondati da centinaia di beni diversi al supermercato, perché così ci mettiamo più tempo a scegliere. Spesso ci chiediamo perché vengano prodotte decine di tipi diversi di detersivi o di dentifrici. La risposta ce la fornisce la teoria economica, secondo la quale più beni e servizi vengono prodotti, meglio è per l’intero Paese.

La quantità di beni e servizi prodotta da un Paese è collegata sia al suo Prodotto Interno Lordo (P.I.L.) che al tenore di vita dei suoi abitanti. Il prodotto interno lordo non è nient’altro che la ricchezza prodotta in un anno da un Paese: essa si misura moltiplicando la quantità di beni e servizi per i rispettivi prezzi. Ciò implica che a maggiori quantità corrisponda una maggiore ricchezza nazionale. Inoltre produrre di più significa aumentare la quantità prodotta nell’unità di tempo, cioè ad esempio il fatto che un operaio riesca a montare più pezzi in un’ora di lavoro o che l’impiegato pubblico riesca a smaltire più pratiche sempre in un’ora dietro lo sportello. In termini economici, la quantità prodotta nell’unità di tempo viene definita produttività.

Un aumento della produzione è possibile grazie ad un aumento della produttività, la quale a sua volta è realizzabile grazie ad una migliore tecnologia e a maggiori conoscenze tecniche (sul modo di produrre). Spesso inoltre produrre tramite macchine invece che a mano consente di ridurre i costi di produzione e quindi i prezzi di vendita.
Di conseguenza saranno disponibili maggiori quantità di beni e servizi a prezzi più contenuti: anche le fasce della popolazione a basso reddito potranno beneficiarne e quindi incrementare il proprio tenore di vita.Se è opportuno che l’economia di un paese produca più che può, a quale prezzo deve essere realizzata tale produzione?

Abbiamo detto che il P.I.L. è il prodotto fra quantità e prezzi, quindi se i prezzi aumentano, anche il P.I.L. aumenta. Tuttavia ciò non è salutare per un’economia: se i prezzi aumentano significa che la moneta si è svalutata e ciò succede quando c’è troppa moneta in circolazione. La moneta equivale ad una qualunque merce: se abbonda vale di meno, se è molto scarsa sarà caratterizzata da un prezzo elevato.

Il prezzo della moneta si chiama tasso di interesse: è ciò che paghiamo alla banca per ottenere denaro in prestito al fine di acquistare la casa. La crescita generalizzata dei prezzi si chiama inflazione e può essere causata da un aumento della moneta in circolazione, derivante ad esempio dal fatto che lo Stato ne stampa in quantità abnormi per provvedere alle proprie necessità di cassa. Se i prezzi invece aumentano solo in determinati settori (ad esempio quelli delle fragole aumentano, mentre quelli dei personal computer tendono a diminuire), ciò può essere dovuto ad una carenza di concorrenza: in quei settori è rimasta una sola impresa a produrre (si tratta di monopolio) e quindi decide il prezzo che più le aggrada.

Gli scambi fanno bene all’economia, funzionano meglio all’interno dei mercati che non fuori, anche se – talvolta – è opportuno che lo Stato intervenga con la regolamentazione.

L’economia di mercato ha avuto successo, quella pianificata no. La storia ha dimostrato che un unico decisore centrale (lo stato nell’economia pianificata) è meno efficiente ed efficace dell’interazione fra le decisioni di milioni di individui ed imprese. Le imprese decidono chi assumere e cosa produrre; gli individui a chi offrire il proprio lavoro e che cosa acquistare con il reddito che ne ricavano. Imprese e individui interagiscono in un mercato, fondando le proprie decisioni su prezzi e interesse personale. Al fine di garantire la sicurezza dei contraenti i mercati spesso sono regolamentati: così rischiamo molto meno se acquistiamo titoli alla Borsa Valori di Milano, piuttosto che sui mercati cosiddetti “over-the-counter”, nei quali – al di fuori di procedure standardizzate e controlli – avvengono trattative dirette tra compratore e venditore.

Nonostante in un’economia di mercato ciascuno persegua il proprio interesse personale, il risultato è spesso il benessere collettivo. Ciò si realizza tramite il meccanismo dei prezzi: essi riflettono sia il valore di un bene, sia il suo costo per la società; imprese e individui si basano sui prezzi per decidere cosa acquistare o vendere e, così facendo, prendono inconsciamente in considerazione costi e benefici sociali delle loro azioni. Ne consegue che la natura stessa dei prezzi conduce ogni singolo attore economico ad un risultato che, in molti casi, massimizza il benessere della società nel suo complesso.

Alcuni eventi possono giustificare l’intervento dello Stato nell’economia. Ad esempio se più aziende colludono per influenzare i prezzi, lo Stato può decidere di intervenire (tale decisione è frutto di una volontà politica, quindi non è detto che si verifichi) con leggi antitrust. Se la scuola privata risulta troppo costosa per gran parte della popolazione, lo Stato può intervenire istituendo la scuola pubblica, gratuita – e quindi accessibile a tutti – e finanziata tramite l’imposizione fiscale. Se l’individuo non pensa al proprio futuro, cioè a quando, non essendo più in grado di lavorare, non potrà guadagnare alcun reddito, lo Stato lo obbliga a pagare i contributi previdenziali per poi potergli elargire la pensione. Questi esempi servono a capire che l’intervento dello Stato serve a migliorare il risultato del mercato.

2 commenti

Anonimo ha detto...

Walter ti sarei molto grato se, come economista, rispondessi a questa domanda: sai nominarmi una Nazione occidentale negli ultimi 100 anni (per restringere il campo) in cui lo Stato NON abbia avuto alcun ruolo in economia?
Se non ne trovi nessuna, come succede a me, potresti rispondere a quest’ altra: perché gli economisti fanno finta di non sapere che un’ economia di mercato pura non esiste eppure danno a questa idealizzazione un così grande valore, direi a priori?

grazie, Alberto

Walter Caputo ha detto...

Ciao Alberto,
grazie innanzitutto per aver aggiunto, al mio articolo, un'utile riflessione. Lo Stato, in misura maggiore o minore, interviene comunque nel sistema economico. Se il suo intevento è limitato, esso migliora l'economia. Se invece l'intervento è massiccio, esso genera sprechi, corruzione, inefficienze e quindi danneggia l'economia. Gli economisti, purtroppo, attribuiscono grande valore alla pura, ma inesistente (nel senso che esiste soltanto nei libri) economia di mercato a causa delle teorie economiche che hanno studiato. Dunque sarebbe proprio il caso di svecchiare l'armamentario dell'economista, e ripartire dall'osservazione dei problemi economici, dalla deduzione di cause ed effetti, per giungere all'elaborazione di nuove teorie. Che il più possibile si avvicinino alla scienza (come d'altronde già ho affermato in "L'Economia utile", articolo pubblicato su Gravità Zero). In questo modo, sicuramente, si otterrà un migliore funzionamento del sistema economico. Questo è il mio parere. Grazie ancora per aver lasciato il tuo commento.
Ciao.

Walter