ANATOMIA DI UN MICRO-BLACK-HOLE (I)
Parte prima - I black-hole stellari
L’ideazione dei black-hole, contrariamente a quanto comunemente si crede, non è un fatto recente. Il concetto risale al 1783, quando John Michell, in una lettera a Henry Cavendish, suggerì che la velocità di fuga di un corpo dalla superficie di un astro avrebbe potuto in certe condizioni risultare superiore alla velocità della luce. Data l'invalicabilità fisica per luce e materia di questo limite, nulla, nemmeno la luce avrebbe potuto abbandonare la superficie dell'astro e questa circostanza avrebbe dato luogo a quella che allora venne chiamata dark star. Il termine attuale è dovuto invece al fisico John Archibald Wheeler, scomparso il 13 aprile scorso, che descrisse con il termine black-hole la teorizzata capacità di questi corpi di non emettere più nulla.
Successivamente alla pubblicazione della teoria della relatività generale, apparì subito chiaro che la soluzione delle equazioni di Einstein era compatibile con un campo gravitazionale a simmetria sferica molto simile al campo newtoniano. La soluzione delle equazioni di Einstein, non è però dovuta ad Albert Einstein ma bensì a Karl Schwarzschild. La soluzione di Schwarzschild implica la formazione nell'intorno della sorgente gravitazionale di una superficie sferica ideale detta appunto orizzonte degli eventi, un limite ideale al cui centro si realizza una singolarità spazio-temporale (un punto geometrico) nella quale viene a concentrarsi tutta la materia risucchiata e lo stesso spazio-tempo.

Simulazione di un black hole sullo sfondo del centro galattico
Se un corpo per effetto del collasso gravitazionale riduce il suo raggio sotto l'orizzonte degli eventi, la materia che cade all'interno dell'orizzonte non è più in grado di uscirne perché la propria velocità di fuga dovrebbe essere superiore alla velocità della luce, cosa che è fisicamente impossibile. Poiché anche la luce è sensibile agli effetti attrattivi della gravità, nulla può più sfuggire dall'orizzonte che diventa totalmente buio, quindi invisibile a qualunque osservazione tranne a quella gravitazionale.
Dal punto di vista teorico, un black-hole può generarsi da un collasso gravitazionale di una stella solo se la sua densità di materia diviene tale da produrre un orizzonte degli eventi che stia all'esterno del raggio dell'astro, cioè se il raggio stellare è più piccolo del cosiddetto raggio di Schwarzschild che definisce la soglia dell'orizzonte. L'orizzonte cresce man mano che altra materia cade al suo interno.

Nel corso degli anni numerose sono state le osservazioni astronomiche che via via sono state associate alla presenza di black-hole ma solo negli ultimi quindici anni i sospetti per alcune di esse sono diventati evidenza. Negli anni ottanta alcuni astrofisici, ipotizzarono che nelle immediate vicinanze di un black-hole la materia accelerata, in rotazione intorno all'orizzonte degli eventi, doveva essere soggetta ad una intensa emissione X e gamma, una sorta di effetto faro, proprio quella radiazione poteva essere il marker della loro presenza. L'Hubble space telescope, riuscì poi a mettere in evidenza che alcuni ammassi stellari come M15 e G1 contengono dei black-hole massivi che alterano il periodo di rotazione di alcune stelle. Alcune galassie poi, apparivano distorte per l'effetto di lente gravitazionale dovuto ad intensi campi gravitazionali di corpi vicini, non apparentemente ragionevolmente massivi da poter causare tale effetto. Da quel momento ci si rese conto che molti oggetti già noti e insospettabili erano dei black-hole. Alcuni erano i partner invisibili di stelle doppie, altri erano all'interno di residui di supernove e altri ancora supermassivi si trovavano al centro di galassie e ammassi noti da secoli e ne costituivano il motore gravitazionale di aggregazione stellare.
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