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IL MOVIMENTO DEI CORPI, DA NEWTON AD EINSTEIN

Nel Medioevo si riteneva che il movimento degli oggetti fosse originato da Dio. Se qualcosa si muove, è soltanto perché Dio interviene. Contro questa opinione, la corrente di pensiero che risale a William Ockham (1290 –1349) stabilì che qualunque corpo in movimento continuerà a muoversi perché contiene in sé una sorta di “impeto”, che costituisce il motore del suo movimento. Questo impeto venne poi chiamato “quantità di moto” (= p) e René Descartes (1596 – 1650) suggerì che fosse pari al prodotto fra massa e velocità (p = m · v). Isaac Newton (1642 – 1727) stabilì però che la dinamica dei corpi non dipende soltanto dalla quantità di moto, ma anche dal tempo e in particolare, per stabilire il movimento di un corpo, occorre considerare la variazione della quantità di moto rispetto alla variazione del tempo (F = Δp / Δt).

Se in F = Δp / Δt sostituiamo p = m · v, otteniamo F = Δ(m · v) / Δt, che è esattamente il modo in cui Albert Einstein (1879 – 1955), nel 1905, descrisse il moto di una particella elettricamente carica posta in un campo elettromagnetico. Tuttavia la massa (= m), secondo la fisica classica, è una costante: ciò significa che non varia mai o, in altre parole, la massa non dipende da alcun parametro. Al contrario, Einstein stabilisce che la massa di una particella ferma è diversa dalla massa di quella stessa particella in movimento. Quindi la massa non viene più considerata una costante, poiché dipende dalla velocità.

Se indichiamo con:
- m = massa in moto o massa relativistica (tale denominazione proviene dal fatto che quanto verrà di seguito scritto è stato elaborato da Einstein nella sua “teoria della relatività ristretta”, detta anche “teoria della relatività speciale”);
- m0 = massa a riposo (cioè massa della particella misurata da un osservatore rispetto al quale la particella stessa è in quiete. La massa a riposo coincide con la massa costante della fisica newtoniana);
- c = velocità della luce (circa 300.000 chilometri al secondo);
- v = velocità della particella;
- r.q. = radice quadrata di ciò che segue tra parentesi
- v2 = v al quadrato;
- c2 = c al quadrato (dove non specificato l'elevamento a potenza è descritto dal simbolo "^"

possiamo scrivere:
m = m0 / r.q. [1 – (v2 / c2 )].

Con ciò si intende dire che, per Einstein, F = Δ(m · v) / Δt resta vera, a condizione che m = m0 / r.q. [1 – (v2 / c2 )]. Ma in che modo la massa in moto varia rispetto alla velocità ? Proviamo a prendere v = (1/3)c, cioè una particella che abbia una velocità pari a terzo di quella della luce (quindi 100.000 km al secondo) e facciamo due conti.

m = m0 / r.q. [1 – (v2 / c2 )] = m0 / r.q. [1 – (1/3c)^2 / c2 )] = m0 / r.q. [1 – (1^2/3^2c^2) / c2].

A questo punto, tramite rapidi passaggi algebrici, otteniamo, sotto radice quadrata, 8/9 cioè 0,88. La radice quadrata di 0,88 è 0,94. Quindi il risultato finale è m = m0 / 0,94. Se m0 fosse 100, m sarebbe 106,38 (= 100 / 0,94), quindi ci sarebbe già una differenza fra la massa a riposo, pari a 100, e quella in moto, pari a 106.

Ma cosa succede se prendiamo in considerazione una velocità più elevata ? Proviamo ad esempio con v = 2/3c, cioè con una velocità pari a due terzi di quella della luce (quindi 200.000 km al secondo). Naturalmente, ci riferiamo alla stessa particella del caso precedente, con m0 = 100. In maniera analoga rispetto al caso precedente, se sostituiamo, nella formula della massa relativistica, la nuova velocità della particella, otteniamo m = 135,13.

Abbiamo quindi trovato una massa in moto maggiore, dunque possiamo affermare che la massa di un corpo, ossia la sua inerzia, non è costante, ma aumenta con l’aumentare della velocità (106,38 a 100.000 km al secondo; 135,13 a 200.000 km al secondo). Inoltre l’aumento della massa diventa sempre più grande, man mano che la velocità della particella si avvicina a quella della luce. Addirittura, se in m = m0 / r.q. [1 – (v2 / c2 )], consideriamo la nostra particella con m0 = 100 (ma ciò che diciamo vale per qualunque m0 ), ma con v vicina a c, osserveremo che m tenderà a più infinito. Di questa affermazione possiamo facilmente convincerci grazie all’ausilio dell’analisi matematica. Infatti se v tende a c, otteniamo c2 / c2 = 1 e 1 – 1 = 0, e infine radice quadrata di zero uguale zero. Ciò significa che, se v tende a c, il denominatore della formula m = m0 / r.q. [1 – (v2 / c2 )], cioè r.q. [1 – (v2 / c2 )] tende a zero. Se una costante positiva (m0 ) viene divisa per una quantità che tende a zero, il risultato del rapporto tende a più infinito. È possibile provare anche con la calcolatrice: se dividiamo un determinato numero per un altro che diventa sempre più piccolo, otterremo come risultato un numero sempre più grande. In termini più rigorosi possiamo scrivere che il limite di m0 / r.q. [1 – (v2 / c2 )], per v che tende a c, è pari a più infinito, cioè il limite della massa in moto (m) è pari a più infinito, quando la velocità della particella (v) tende alla velocità della luce (c).

Einstein fornì la definizione matematica di massa in moto soltanto per una particella elettricamente carica posta in un campo elettromagnetico. In tempi successivi la fisica nucleare, che studia particelle con velocità simili a quella della luce, dimostrò che la definizione di Einstein aveva validità generale. E così, grazie alla sperimentazione, la massa relativistica sostituì la massa newtoniana.
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2 commenti

Michele Filannino ha detto...

Ormai mi vergogno un po' a farti i complimenti. Questo articolo è molto più incisivo di mille testi di fisica sull'argomento.

Lei è davvero il più bravo divulgatore scientifico che io abbia mai avuto il piacere di leggere o ascoltare.

Complimenti.

PS. Mi accingo immediatamente a spedire l'URL di questa pagina ai tanti ragazzi che so studiare fisica.

Walter Caputo ha detto...

Carissimo Michele,
non ti vergognare a farmi i complimenti: io li accetto sempre di buon grado, quindi non essere timido e diffondi l'URL. D'altronde, come sai, se non avessi soddisfazioni di questo genere sarebbe difficile continuare a scrivere.
Grazie ancora.
Walter Caputo