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COSMOLOGIA: CONFERMATO IL MODELLO STANDARD

Spettacolari conferme e un nuovo enigma. I risultati definitivi della missione ESA ratificano, con una precisione senza precedenti, la validità del modello standard della cosmologia. Con un’importante eccezione: l’esatto valore della costante di Hubble. È attorno a quel numero che osservazioni e modelli dovranno ora cimentarsi, ed è lì che potrebbe annidarsi la necessità di una nuova fisica.


A cinque anni dalla realizzazione della prima immagine dell’universo a microonde ottenuta dalla missione Planck dell’ESA, di fatto la più estesa ed accurata visione dell’universo primordiale oggi a nostra disposizione, il consorzio di Planck oggi ha reso pubblica la cosiddetta legacy data release: l’ultima – definitiva – versione dei dati raccolti dalla strumentazione di bordo della sonda, che vede una importante partecipazione sia scientifica che tecnologica dell’Italia, con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) in prima fila. Questi dati confermano le predizioni indicate dal modello standard cosmologico, ma lasciano un enigma ancora aperto, quello sul corretto valore della costante di Hubble, che di fatto indica la velocità di espansione dell’universo. È anche su questo dato cruciale che si svolgeranno gli studi dei cosmologi, per riuscire a conoscere in maniera sempre più chiara la storia del nostro universo e la sua evoluzione.


Era il 21 marzo 2013. Scienziati e giornalisti scientifici da tutto il mondo si erano riuniti nella sede parigina dell’Agenzia spaziale europea (ESA) – o si erano collegati online – per assistere al momento in cui la missione Planck dell’ESA avrebbe svelato la sua “immagine” del cosmo. Un’immagine ottenuta non con la luce visibile ma con le microonde. A differenza della luce visibile ai nostri occhi, la cui lunghezza d’onda è inferiore al millesimo di millimetro, la radiazione che Planck stava rilevando misurava onde più lunghe, da pochi decimi di millimetro a pochi millimetri. Ed era una radiazione emessa quando l’universo ebbe inizio.

L’espressione che si usa per indicare questa radiazione nel suo complesso è fondo cosmico a microonde, o CMB (dall’inglese cosmic microwave background radiation). Misurando le differenze quasi impercettibili che questa radiazione presenta da una regione all’altra del cielo, era possibile leggere nell’immagine ottenuta da Planck l’età, l’espansione, la storia e il contenuto dell’universo. Niente di meno che il progetto del cosmo.

Le attese degli astronomi erano ben note. Già due missioni della NASA, COBE nei primi anni Novanta e WMAP nel decennio successivo, avevano effettuato analoghe ricognizioni del cielo, ottenendo come risultato immagini simili. Immagini, però, che non avevano la precisione e la nitidezza di quelle prodotte da Planck. Grazie alla sua visione avremmo potuto cogliere l’impronta dell’universo primordiale a un livello di dettaglio mai ottenuto prima.

Tutto dipendeva da quello. Se il nostro modello dell’universo fosse risultato corretto, Planck lo avrebbe confermato con un’accuratezza senza precedenti. Se invece fosse risultato sbagliato, gli scienziati sarebbero dovuti ripartire da zero.

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