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LE DONNE PIÙ BRAVE A VEDERE UN VOLTO UMANO DOVE NON C'È

Quell’oggetto vi ricorda una faccia, con tanto di occhi, naso e bocca? Si chiama pareidolia e ne avevamo  parlato qui. Se siete donne, vi capiterà più spesso: un gruppo di ricerca dell’Università di Milano-Bicocca ha scoperto che le femmine sono molto più portate dei maschi ad associare un viso umano a un oggetto con sembianze facciali. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Social Cognitive and Affective Neuroscience”, edita dalla Oxford University Press.




Guardando le nuvole, a molti è capitato di riconoscere una forma familiare, un animale o un volto umano, magari con un’espressione particolare. Ad alcune persone, tuttavia, succede più spesso: il gruppo di ricerca dell’Università di Milano-Bicocca coordinato dalla professoressa Alice Mado Proverbio insieme alla dottoressa Jessica Galli, analizzando maschi e femmine, ha scoperto che le donne sono molto più portate degli uomini a trovare sembianze umane in un oggetto reale e ad attivare, di conseguenza, le aree cerebrali legate all’affettività.

Per arrivare a questo risultato è stata misurata la risposta del cervello alla percezione di stimoli visivi legati a quattro categorie di immagini: volti umani, oggetti qualsiasi, oggetti simili a facce e, infine, animali. La ricerca è stata recentemente pubblicata sulla rivista scientifica Social Cognitive and Affective Neuroscience (DOI: 10.1093/scan/nsw064), edita dalla Oxford University Press, e mostra come il cervello femminile sia più incline ad antropomorfizzare oggetti rispetto a quello maschile, a renderli più simili alla forma umana.



La pareidolia (dal greco èidōlon, “immagine”) è l'illusione che tende a ricondurre oggetti o profili dalla forma casuale a forme note: è una tendenza istintiva a trovare forme familiari e strutture ordinate in immagini disordinate, un'associazione che si manifesta in particolar modo verso figure e volti umani. Il cervello è un organo estremamente sensibile e per analizzare categorie semantiche differenti fornisce risposte specifiche; in questo caso, per il riconoscimento dello schema facciale umano, si attivano determinati gruppi di neuroni. La prima elaborazione avviene nella parte posteriore del cervello dopo soli 170 millisecondi: di fronte ad una faccia, la risposta è più intensa; di fronte agli oggetti con sembianze facciali o Fit, Faces in things (“facce negli oggetti”), è intermedia; di fronte ad oggetti, è più debole.

In questo stadio maschi e femmine rispondono in modo molto simile, ma in un secondo stadio, che si svolge quasi contemporaneamente al primo (la velocità è rapidissima: 150-190 millisecondi), l’informazione viene inviata a zone anteriori dell’encefalo. La differenza è netta: le donne evidenziano una risposta molto simile a facce e Fit – oggetti simili a volti – e si attiva il “cervello sociale”, la parte con cui si attribuisce una mente, una serie di credenze e ci si relaziona con gli altri. Si attivano quindi l’emisfero destro, il giro temporale superiore, la corteccia orbito-frontale e cingolata, che delinea un’emozione in ciò che si vede.

Anche gli uomini, naturalmente, sono portati a identificare immediatamente le facce come persone, tuttavia, considerano in modo automatico le Fit come semplici oggetti. Il segnale che arriva dalla parte posteriore del cervello non supera una certa soglia ed è immediatamente giudicato “insufficiente”: dato che nel cervello si attivano soltanto le aree visivo-spaziali, i soggetti di sesso maschile non tendono ad antropomorfizzare gli oggetti.

La sperimentazione si è avvalsa della partecipazione di 26 studenti universitari, 13 maschi e 13 femmine, ai quali è stato detto di premere più rapidamente un tasto quando vedevano fotografie di animali, che costituivano il 12 per cento delle immagini mostrate. Le misurazioni di precisione sono state registrate grazie una “cuffia iper-tecnologica” con 128 elettrodi: sottoposti a una stimolazione sensoriale, i neuroni cerebrali comunicano fra loro producendo un segnale bio-elettrico rilevabile sulla superficie del capo e, a seconda delle caratteristiche della persona, di fronte agli stessi stimoli può cambiare il livello di attivazione cerebrale.


Gli oggetti con sembianze facciali (Fit) sono stati selezionati con studi appositi. La selezione ha preso in considerazione ben 400 oggetti reali, nessuno dei quali era riconducibile ad un’elaborazione grafica creata al computer. I dieci studenti che formavano il campione, ignari dello scopo della ricerca, dovevano stabilire se le immagini ritraessero visi umani, oggetti che ricordavano volti oppure oggetti privi di qualsiasi relazione con uno schema facciale. Anche in questo caso le donne hanno trovato “oggetti con un volto umano” molto più spesso degli uomini: questa fase preliminare allo studio vero e proprio può quindi essere considerata come un test ed una prima conferma dei risultati della ricerca principale.

«Già in altri studi il cervello femminile aveva evidenziato reazioni più marcate – spiega la professoressa Alice Mado Proverbio – nei confronti di informazioni sociali come il pianto o il riso dei bambini, le espressioni facciali, la mimica corporea e le interazioni sociali, dimostrando un maggiore interesse verso le persone rispetto ad oggetti o paesaggi. In questo studio viene anche svelato il meccanismo con cui il nostro cervello “attribuisce un’anima” ad oggetti altrimenti inerti, ovvero li antropomorfizza conferendo loro motivazioni, emozioni e intenzioni con il coinvolgimento della regione temporale superiore di destra, del cingolato posteriore e della corteccia orbito-frontale, parti del cosiddetto “cervello sociale”».

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