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PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA

Gli esseri viventi del regno animali si emozionano. Durante il corso della loro vita fanno esperienze, che suscitano emozioni, che rimangono associate ad esse nella nostra memoria.
Le emozioni vengono esperite con il corpo. Successivamente la mente dà loro un nome e un significato.
Ma quando l'attivazione emotiva è molto intensa, repentina, oppure viviamo uno stress emotivo prolungato nel tempo, la nostra mente fa fatica e talvolta non riesce per nulla ad assimilare l'esperienza, che rimane in noi come memoria corporea.

Per esempio le memorie traumatiche non sono rimosse, ma fin dall’inizio non vengono integrate nella sintesi personale. L’esperienza, tuttavia, viene registrata in modo implicito, a livello di schemi corporei.
Per questo le esperienze traumatiche non sono ricordate, ma rivissute.
Poiché non c'è stata integrazione il trauma viene rivissuto come fosse sempre attuale. Lo vediamo nelle persone che parlando di un evento passato dicono "me lo ricordo come fosse ieri", "se ripenso a quell'evento mi sento ancora...". C’è una sorta di dispercezione temporale, per cui il passato continua ad essere attivo nel presente. Come afferma la dr.ssa Chiej "una parte importante del lavoro terapeutico con persone che hanno subito traumi, pertanto, consiste nel trasformare il rivivere in ricordare, collocando l’esperienza nel passato".
Uno di questi approcci è la Psicoterapia Sensomotoria (PSM), sviluppata negli anni ’80 dalle tecniche di mindfulness e progressivamente integrata con i contributi della psicoterapia psicodinamica, cognitivo-comportamentale, delle neuroscienze, della ricerca sull’attaccamento e sulla dissociazione, orientata specificatamente al trattamento delle esperienze traumatiche dello sviluppo
Questo approccio utilizza strumenti di osservazione e di intervento rivolti principalmente al corpo.

Migliorando la capacità di regolare l’attivazione corporea si facilita l’accesso a stati mentali problematici. Man mano che la relazione terapeutica si consolida e il paziente sperimenta un certo grado di sicurezza si possono gradualmente affrontare le sensazioni corporee collegate a momenti di difficoltà, concentrandosi sulle reazioni motorie e posturali legate al trauma senza giudicarle (con l'atteggiamento tipico della mindfulness).


Lentamente si aiuta il paziente a riconoscere la ripetizione degli schemi corporei di lotta e fuga, di freezing o di sottomissione, innescati dall’attivazione costante dei sistema di difesa.

Il paziente impara a diventare consapevole del proprio corpo, acquisendo verso di esso una progressiva fiducia, imparando a riconoscere e rispettare i propri marcatori somatici.
Attraverso questa crescente integrazione mente-corpo, il paziente acquisisce una progressiva capacità di regolazione emotiva, autoriflessività e un maggiore senso di padronanza e competenza. Una rielaborazione ideale include elementi cognitivi, emotivi, comportamentali e sensomotori.


Questo tipo di intervento procede con una direzione bottom-up (cioè dal corpo verso la mente), diversamente dalle tecniche psicoterapeutiche che vanno nella direzione top-down.

Con le tecniche terapeutiche top-down ci si può ritrovare in situazioni in cui la persona ha compreso molte cose rispetto agli eventi della sua vita, ma sentire che ha livello emotivo poco è cambiato. E' a questo punto che si può intervenire con tecniche quali l'EMDR o la PSM.






La terapia sensomotoria proposta da Pat Odgen e dal suo gruppo rappresenta un’interessante eccezione a questo stato di cose e negli ultimi anni si sta diffondendo anche nel nostro Paese, come testimonia l’uscita, finalmente, dell’edizione italiana del manuale “Il trauma e il corpo” di P. Ogden, K. Minton e C. Pain.

Chiunque abbia esperienza nel lavoro con pazienti traumatizzati riscontra quanto l'esperienza corporea possa interferire con il lavoro sulle emozioni e sui significati, impedendo al paziente di integrare i ricordi nel Sé.
Il trauma, infatti, impedisce alla mente di elaborare l' informazione. In condizioni normali i 3 livelli di elaborazione delle informazioni (cognitivo, emotivo e sensomotorio) sono mutualmente dipendenti e intrecciati funzionando come un tutto integrato. Pensieri, emozioni e corpo si influenzano a vicenda.

Il trauma compromette questa integrazione e l’intensità delle emozioni e delle reazioni fisiologiche ostacola l’elaborazione dall’alto verso il basso. 

Il volume si rivela un utile strumento, scientificamente fondato, per il clinico sia per comprendere i sintomi e le difficoltà relazionali insite nel lavoro con i pazienti che provengono da storie traumatiche sia, di conseguenza, per impostarne il trattamento.

La teoria polivagale di Porges (2001) viene descritta e chiamata in causa per spiegare come questa drammatica disregolazione neurovegetativa sia una conseguenza diretta della cronica attivazione del sistema di difesa come effetto di traumi cumulativi. 

Il sistema neurovegetativo è formato da sottosistemi che si attivano in maniera gerarchica di fronte alle sfide ambientali. Il ramo ventrale parasimpatico del nervo vago, quello evolutivamente più recente e sofisticato, regola l’impegno sociale e favorisce un arousal ottimale, entro la “finestra di tolleranza”. Il sistema simpatico, evolutivamente più primitivo e meno flessibile, regola le riposte difensive di mobilizzazione, permettendo l’attivarsi delle reazioni di attacco e fuga, innalzando il livello di arousal globale per massimizzare le possibilità di sopravvivenza di fronte ad un pericolo. Il ramo parasimpatico dorsale del nervo vago si attiva come ultima linea difensiva “di riserva” se le due precedenti falliscono: riduce drasticamente l’arousal sino allo svenimento o “finta morte” e consente l’immobilizzazione ai fini della sopravvivenza. 
Questa condizione è molto diversa dal freezing, l’immobilità vigile e pronta all’azione che appare nell’istante in cui si percepisce la minaccia e si valuta quale difesa potrebbe essere più efficace, che è invece determinato dall’attivazione simultanea del sistema simpatico e di quello parasimpatico.
La finta morte rappresenta l’estrema via di salvezza che viene attivata in maniera assolutamente involontaria. I predatori solitamente preferiscono prede vive e tendono a ignorare quelle che sembrano morte (potrebbero essere morte di malattia e molti predatori non hanno un buon sistema immunitario), per cui l’evoluzione ci ha dotati di questa estrema risorsa.
Si pensi ad esempio alle molte testimonianze di vittime di stupri che riferiscono l’impossibilità assoluta di muoversi e di chiamare aiuto durante la violenza: in questo caso l’aggressore viene percepito come un predatore e, falliti i tentativi di fuga o di contrattacco si innesca l’ultima ed estrema difesa possibile, il distacco dall’esperienza. Spesso le vittime riferiscono, infatti, di non aver percepito dolore, ma la perdita di ogni controllo sul corpo e sui movimenti, come se non appartenesse più a loro, come se si vedessero dal di fuori. 
Il sistema di impegno sociale smette di funzionare, riducendo le capacità di stabilire relazioni adeguate e si abbassano le soglie di reazioni ad agenti stressanti. Le memorie traumatiche restano come congelate al di fuori della possibilità di integrazione e riemergono sotto forma di sensazioni corporee, postura, movimenti e anche di immagini intrusive. 
La persona resta come divisa in due aspetti: quello che le permette di andare avanti nella quotidianità evitando i ricordi traumatici e quello che comprende tali ricordi e innesca azioni difensive automatiche contro la minaccia.
Quando uno stimolo interno (una sensazione o un’emozione) o esterno (qualche elemento del contesto o il comportamento di un’altra persona) ricorda la situazione traumatica il sistema di difesa si attiva.

Includere il corpo nel lavoro di elaborazione con i traumi permette un accesso privilegiato a dimensioni che, per effetto del trauma stesso, non sono collegate e integrate con il resto dell’esperienza. Lavorare direttamente con le sensazioni e i movimenti permette di agire direttamente sui sintomi e promuovere in seconda battuta un cambiamento anche nelle emozioni, nei pensieri, nelle credenze e nelle capacità relazionali.

Il terapeuta sensomotorio osserva con un atteggiamento “mindful”, curioso e non giudicante tutto quello che accade nel qui ed ora delle seduta al corpo del paziente. I punti centrali dell’esplorazione in terapia sono le sensazioni corporee e i movimenti che emergono in seduta, le reazioni emotive attuali, i pensieri e le immagini legate al trauma, per affrontare in maniera diretta gli effetti dell’esperienza traumatica sul corpo e sull’apprendimento procedurale. Tutto ciò richiede l’utilizzo integrato di interventi top-down e bottom-up, avendo come punto di accesso privilegiato il corpo. 

L’attenzione non è focalizzata sulla storia narrata, ma sull’esperienza interna del paziente mentre ne parla e per il modo in cui ne parla.

Obiettivo iniziale è che il paziente diventi curioso rispetto alle sue tendenze all’azione attuali, imparando lentamente la differenza fra vivere un’esperienza ed esplorare il modo in cui viene gestita. L’uso della consapevolezza aumenta l’attivazione di aree cerebrali associate ad affettività positiva e della corteccia prefrontale, favorendo un primo processo di integrazione.
Dato che, come già sosteneva Janet, la traumatizzazione è il fallimento delle capacità integrative, obiettivo del trattamento secondo gli autori del manuale è espandere la capacità integrativa del paziente. La realtà interna ed esterna attuale deve essere differenziata dalle esperienze passate. La consapevolezza del paziente viene orientata alle posture ed ai movimenti appropriati per il contesto attuale, evidenziando quali invece riflettono tendenze somatiche maladattive che affondano le loro radici nel passato.
Coerentemente con le linee guida generali del trattamento del trauma gli autori individuano 3 fasi del percorso terapeutico: la stabilizzazione dei sintomi, il trattamento delle memorie traumatiche e l’integrazione.
In questo percorso l’esperienza corporea diventa la via principale per l’intervento terapeutico, che viene integrata con l’elaborazione emotiva e quella cognitiva.
La particolarità della terapia sensomotoria, ben illustrata in questo manuale, è il canale di accesso a questa elaborazione. 

Integrare questo tipo di interventi bottom-up con i più classici approcci top-down rappresenta secondo la proposta degli autori un valido aiuto nel trattamento di pazienti con esperienze drammatiche.

Quando si utilizza queste tecniche con i pazienti sono loro stessi a riferire in seguito di sentire che "le mie parti cominciano a parlarsi", o  "mi sento più un tutt'uno", o "mi sento alleggerito".




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