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LO DICE ANCHE NATURE!

“Gli istituti di ricerca devono riconoscere e incoraggiare in modo esplicito la divulgazione scientifica, non solo per un dovere verso i contribuenti ma soprattutto per promuovere il dibattito pubblico e per mettere in evidenza gli interessi degli scienziati, facendo in modo che anche essi abbiano una voce in capitolo nella società attuale. Il web 2.0 non dispone ancora di ciò di cui avrebbe bisogno per rappresentare un valore aggiunto importante nell’ambito del discorso accademico aperto, ma può sicuramente fare la differenza per facilitare l’accessibilità del pubblico alla scienza”.

Più o meno è questa la tesi esposta in un editoriale dello scorso 1 luglio 2010 della più autorevole rivista scientifica del pianeta, Nature, dal titolo Quando i blog hanno un senso.

Nel testo in questione viene presentato uno studio del Centro per gli Studi dell’Istruzione Superiore (CSHE) dell’Università della California, Berkeley, realizzato su un campione di 160 persone del mondo accademico dell’astronomia e della biologia e dal titolo: “Valutazione sul futuro della comunicazione scientifica”.



Come spiega l’editoriale, se da un lato lo studio del CSHE metta in luce la differenza tra come un astronomo e un biologo diffondono il proprio lavoro presso la comunità scientifica dall’altro “i ricercatori ci vedono poco da guadagnare dal mantener un dialogo aperto sul loro lavoro, sia prima che dopo ogni pubblicazione”.

E non solo. Oltre ad avere poco tempo disponibile per queste attività, si sentono preoccupati dal rischio di poter fare una brutta figura e di essere criticati in pubblico. Ma la cosa più sconcertante è che secondo l’editoriale “sia gli astronomi che i biologi (intervistati) diffidano dei blog scientifici, visti come una forma di comunicazione senza alcuna affidabilità né prestigio”.

Tuttavia, secondo il sondaggio del CSHE c’è una cosa sulla quale astronomi e biologi sono d’accordo. I ricercatori intervistati esprimono un forte sostegno alla divulgazione attraverso le loro conferenze pubbliche o i loro contributi nei mezzi di comunicazione di massa, che non fanno altro che aumentare la loro visibilità e il loro prestigio. Per questo motivo, l’editoriale fa un invito agli scenziati in generale per avvicinarsi alla blogosfera, un nuovo modo per essere riconosciuti per il proprio lavoro e per ritagliarsi un posto nella società attuale.

La situazione descritta dal Nature (ahimè!) non dice niente di nuovo ma è interessante vedere come ci sia una certa sensibilizzazione verso la blogosfera scientifica da parte dalla rivista scientifica più apprezzate della comunità scientifica, e che di peer-to-peer ha veramente poco.

Bisogna infatti ricordare che questa situazione si fa ancora più complicata in Europa. Se negli USA i ricercatori sono quasi obbligati a divulgare il loro lavoro, nel Vecchio Continente questo modello sta prendendo piede solo da pochi anni a questa parte, e a un ritmo molto molto lento.

L’astrofisico americano Sean Carroll, ad esempio, ha recentemente pubblicato il suo ultimo lavoro “Unitary Evolution and Cosmological Fine-Tuning”, una sorta di discussione sul modello inflazionario capace di spiegare in parte l’attuale Universo. Ma la cosa curiosa è che, dopo aver citato per intero il riassunto (Abstract) rispettando il modello tipico di ogni articolo di letteratura scientifica, il cosmologo del California Institute of Technology da una spiegazione molto piú semplice del suo lavoro specializzato, sforzandosi di avvicinare anche il pubblico non esperto al suo lavoro. E lo fa iniziando il testo con un “In English:”, come a dire “In parole povere:” (senza voler disprezzare la lingua inglese!).

Sulle pagine di questo blog, abbiamo più volte insistito (qui, qui e qui) sull’importanza che ricoprono oggi giorno i blog scientifici. Anche per questo motivo, lo scorso novembre Gravità Zero e Gravedad Cero hanno lanciato il Carnevale della Fisica, che questo mese di luglio celebrerà la sua nona edizione. E in tutti questi mesi, almeno in Spagna, ho trovato molta difficoltà a coinvolgere ricercatori (quei pochi che regolarmente scrivono su un blog) affinchè partecipassero a questa iniziativa della blogosfera scientifica. Trovo invece lodevole la partecipazione dei ricercartori italiani alla versione italiana, che non fanno altro che arricchire e diffondere la comunicazione scientifica.

1 commento

Paolo Pascucci ha detto...

questi ricercatori un po' di puzzetta al naso ce l'hanno. Per fortuna non tutti. In definitiva è una cosa che infastidisce leggermente: da una parte, ma questo soprattutto sui nostri lidi più che su quelli americani o in lingua inglese, la ricerca preme per ottenere i giusti finanziamenti, dall'altra manifesta un malato snobismo (a sentire queste analisi)verso chi fa della divulgazione, divulgazione che non può essere fatta solo sui manuali visto la velocità con la quale si succedono le scoperte.
In definitiva è auspicabile una maggior sensibilità del mondo della ricerca nei confronti dei blog divulgativi e della blogosfera in generale, per non veder aumentare quella separazione che già esiste e che rischia d'ingigantirsi.