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UNA SUPER TERRA SENZA SUPER UOMINI

Trovare vita in un pianeta esterno al Sistema Solare (o esopianeta) è una delle sfide più interessanti per la scienza moderna sebbene, secondo gli astronomi, più che una meta sarà un punto di partenza per cercare nuovi mondi e altre meraviglie del cosmo.

Al giorno d'oggi si conoscono oltre 370 esopianeti ma nessuno di essi è stato trovato nella cosiddetta zona abitabile, vale a dire a una distanza dalla stella-madre tale da permettere la formazione di acqua allo stato liquido sulla superficie e, quindi, di vita. E mentre arrivano notizie rassicuranti dalla Luna e da Marte sulla presenza di acqua nel loro sottosuolo, il mese scorso più di 200 esperti in esopianeti si sono riuniti nel Museo della Scienza di Barcellona (il CosmoCaixa) per celebrare il congresso Pathways toward habitable planets. Durante il congresso è stata annunciata la scoperta di CoRot-7b, la Super Terra (dall’inglese Super-Earth) più piccola (5 volte la massa della Terra) trovata sino ad oggi, localizzata a una distanza di 500 anni luce nella costellazione dell’Unicorno.

Ne ho parlato con Franceso Pepe, ricercatore dell’Observatoire de Genève (Svizzera), in un’intervista pubblicata giorni fa sul quotidiano spagnolo Público, e con il ricercatore Ignasi Ribas del CSIC di Barcellona, in un’altra intervista andata in onda sabato 10 ottobre all’interno del programma Conto alla rovescia di Radio24.

L'obiettivo dell'appuntamento scientifico nella città catalana è stato quello di studiare le strategie future (o road-map) affinché si possa arrivare - nel giro di poche decine di anni – a realizzare quella che è già stata definita la sfida del XXI secolo: la scoperta di vita extraterrestre e, in particolare, di esopianeti abitabili, vale a dire capaci di ospitare vita.

Uno dei gruppo di ricerca candidati ad annunciare la tanto attesa scoperta è sicuramente quello di Michel Mayor e Didier Queloz, i padri del primo esopianeta trovato nel 1995, anch’essi dell’Observatoire de Genève. Grazie allo sviluppo di una strumentazione all’avanguardia, in questi 15 anni questo gruppo si è confermato come uno dei più prolifici e competitivi in questa disciplina. Il merito è anche dovuto all’ingaggio, avvenuto nel 1998, dell’astronomo Francesco Pepe.

Francesco Pepe
Figlio di emigranti italiani originari di Avellino, tra le altre cose Pepe (Olten, Svizzera, 1968) ha sviluppato lo strumento HARPS (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher) installato nel telescopio di 3.6 metri dell’Observatorio de la Silla (Cile) che finora ha realizzato le scoperte più rilevante nella ricerca degli esopianeti. Attualmente Francesco Pepe è anche responsabile di un altro strumento di altissima qualità in fase di sviluppo, PRIMA (Phase-Referenced Imaging and Microarcsecond Astrometry), per l’identificazione di sistemi solari simili al nostro attraverso l’astrometria. “Proprio come recita l’etimologia greca questa tecnica permette misurare la posizione degli astri rispetto agli altri nel piano celeste. In particolare, PRIMA sarà talmente preciso che potrà osservare lo spostamento di circa due centimetri di un sasso sulla superficie della Luna” afferma il dottor Pepe.

Nella comunità scientifica la scoperta del primo esopianeta “ha cambiato il modo e la mentalità di osservare il cielo”, assicura l’astronomo italo-svizzero. “Inoltre, la sua esistenza era qualcosa che Mayor e Queloz avevano già previsto e solo per questo motivo, credo, meriterebbero il premio Nobel”. Da allora lo studio di questi corpi celesti ha fatto passi da gigante. “Prima del 1995 non pensavamo neanche che un pianeta come Giove (così lontano dalla sua stella nel nostro Sistema Solare) potesse trovarsi a meno di 5 volte la distanza tra Sole e Terra. Oggi, invece, siamo capaci di rilevarli a una decima parte di questa separazione”, ricorda il ricercatore.

Ignasi RibasGrazie a tecniche di osservazione sempre più avanzate, oggi conosciamo un ampia gamma di esopianeti tra i quali troviamo i gassosi di tipo gioviani caldi (hot-Jupiter) e, appunto, le Super Terre, pianeti rocciosi con una massa non superiore a 10 volte quella della Terra e normalmente molto vicini alla loro stella. Come ha spiegato Ignasi Ribas del CSIC di Barcellona a Radio24 “le Super Terre sono importanti perché crediamo che siano pianeti di tipo terrestre, ovvero con una superficie e un'atmosfera, a differenza di quelli più massicci che generalmente sono corpi gassosi e inospitali per la vita. La loro importanza, quindi, sta nel fatto che avendo una struttura rocciosa sono dei potenziali gemelli della Terra”.

“Rilevare la presenza di oggetti come CoRot-7b è stato un vero passo in avanti poiché grazie ad HARPS abbiamo trovato la prima Superterra con una densità molto simile a quella terrestre”, segnala Pepe, coautore della ricerca. “Inoltre, a causa della distanza ridotta che separa l’esopianeta dalla stella-madre, le sue condizioni atmosferiche si assomigliano di più a un inferno dantesco che a un pianeta abitabile. Proprio come occorre tra la Luna e la Terra, CoRot-7b (così chiamato in onore al telescopio spaziale che lo ha scoperto) mostra sempre la stessa parte di superficie alla stella in modo che nel lato illuminato si registrano temperature di 2000-3000 gradi e di -200 gradi ai suoi antipodi. E benché esista una piccola zona di superficie che separa le due facce del pianeta con temperature compatibili con la presenza di vita, possiamo escludere a priori la possibilità di trovare lì tracce dell’esistenza di un Super Uomo” scherza Francesco Pepe.

Rappresentazione di una Super TerraRibas, però, ricorda che “quella di Corot-7b è comunque una scoperta molto importante perché apre una nuova strada a pensare che ci sia grande abbondanza di questo tipo di Super Terre nell'Universo le quali, probabilmente, possono albergare vita sulla loro superficie”. Ma Pepe va ancora più in là affermando che “trovare vita oltre il Sistema Solare rappresenterebbe, in un certo modo, un’informazione piuttosto limitata per noi. Come si è formata? Quali sono le condizioni che permettono la sua esistenza? Che forma ha? Si tratta di vita intelligente? Può comunicare? E soprattutto, qual è la nostra condizione nella Via Lattea rispetto agli altri? Le risposte a queste domande è quello che realmente vogliamo sapere”.

Tratto da Gravedad Cero
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