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PIOGGIA DI RAZZI SULLA STEPPA

Qualche mese fa ho scoperto casualmente quest’interessante saggio fotografico pubblicato nel 2006 dall’agenzia Magnum Photos. Dopo aver proposto alla redazione del quotidiano spagnolo Público un pezzo sull’argomento, mi sono messo alla ricerca di notizie relazionate con il lancio dei satelliti da parte delle grandi agenzie spaziali di tutto il mondo, scoprendo l’esistenza di popoli e comunità lontani anni luce dall’emisfero occidentale del nostro pianeta. Qui di seguito vi propongo la traduzione dell’articolo Lluvia de cohetes sobre la estepa (Pioggia di razzi sulla steppa) apparso sul suddetto quotidiano domenica scorsa 6 settembre e che potete trovare anche sul blog Gravedad Cero.



Circa il 70% dei missili utilizzati per mettere in orbita attorno alla Terra satelliti, osservatori scientifici e altri artefatti vengono lanciati dal Cosmodromo di Baikonur, in Kazakhstan, la più antica base di lancio spaziale del mondo gestita dall’agenzia spaziale russa Roscosmos. Attorno a questo Cape Canaveral delle steppe asiatiche si estende una costellazione di stati e staterelli che apparvero sulle cartine geografiche solo dopo la disintegrazione dell’impero sovietico e che, al giorno d’oggi, non sono ancora state riconosciuti come tali dalla comunità internazionale. Regioni come Transnistria, Abkhasia o Nagorno-Karabakh sono in realtà nazioni-satellite della grande madre Mosca, unite da uno stesso denominatore comune: la ricerca di un’identità storica, religiosa e ideologica che la fine dell’URSS non ha fornito a questi popoli.

Chi ha visto il foto-reportage Satellites del norvegese Jonas Bendiksen, pubblicato nel 2006 con la collaborazione della prestigiosa agenzia Magnum Photos, forse ricorderà le immagini pittoresche di queste piccole comunità del Caucaso e della Siberia. Avvolte da una specie di nuovo realismo magico tipico dei film di Kusturica, le foto di Bendiksen mettono in evidenza tutti i contrasti culturali di una società che per il resto del mondo è praticamente inesistente.

Tuttavia, la loro ubicazione geografica le rende protagoniste indirette di gran parte dell’attività spaziale, dal momento che per la maggior parte delle agenzie lanciare un satellite allo spazio dal Kazakhstan è molto più conveniente che da qualsiasi altra base di lancio. E se da un lato questo “porto spaziale” ha riempito di successo lo spazio, dall’altro ha contribuito a coprire la steppa di spazzatura. Dopo aver collocato in orbita un veicolo spaziale, i vettori russi tornano al suolo in caduta libera, invece di precipitare nell’oceano come avviene per quelli americani ed europei. L’impatto violento con la superficie terrestre li converte in rifiuti spaziali che disperdono elementi tossici e combustibile di propulsione che quei missili non hanno finito di bruciare durante il decollo, contaminando inevitabilmente quelle aree abitate che giacciono lungo le rotte di volo dei vettori.

La Roscosmos e le autorità della Siberia del sud accordarono una frangia di terreno sulla quale dovrebbero cadere i resti dei razzi, in modo che solo quelli che vivono fuori dalla zona stabilita hanno diritto a un risarcimento a causa dei danni provocati dai lanci. Tuttavia, è frequente che i detriti vengano disseminati oltre l’area prevista, obbligando i siberiani a convivere con il timore costante di vedersi cadere addosso uno di questi frammenti in fiamme e non poter evitare che quelle sostanze nocive inquinino le loro coltivazioni. Sin dagli albori della corsa allo spazio i territori delle repubbliche di Altai, Chakasija e Tuva si sono convertite in un autentica discarica a cielo aperto. Gli ecologisti calcolano che solamente in Altai sono state accumulate più di 2.000 tonnellate di ferraglia spaziale, coprendo quasi la quarta parte della sua superficie.

Nel 2007, ad esempio, un razzo russo Proton si schiantò in una zona deserta a circa 50 chilometri da Dzhezkazgan, un’altra città kazaka, dopo due minuti dal lancio. La Russia pagò al paese più di 2 milioni di dollari, riconoscendo che il missile era stato caricato con livelli superiori a quelli permessi di UDMH (Unsymmetrical Dimethyl Hydrazine), un combustibile tossico utilizzato soprattutto dai razzi di fabbricazione russa e cinese. "I combustibili per uso spaziale sono sostanze cancerogene, infiammabili ed esplosive. Possono produrre irritazione della pelle, occhi e apparato respiratorio”, assicura Ferran Valencia Bel, ingegnere del dipartimento di Propulsione Chimica dell’ESTEC-ESA di Noordwijk (Olanda).

Già nel 2005 una notizia apparsa sulla rivista Nature avvertì sui pericoli rappresentati da questo tipo di carburante. Secondo Sergey Zykov del Centro Statale de Ricerca di Virologia e Biotecnologia di Novosibirsk, in Siberia, ogni lancio dispersa decine di litri di UMDH lungo vari chilometri quadrati di superficie. Dai dati epidemiologici raccolti tra il 1998 e il 2000, il suo gruppo di ricerca dimostrò che i bambini delle aree inquinate presentavano il doppio di malattie che quelli di altre aree vicine non contaminate.

Nonostante ciò, la pioggia di missili continua ad abbattersi sulla taiga asiatica. L’ultimo rottame (di circa 120 centimetri di lunghezza) è caduto il passato 8 maggio sul tetto di una casa nella località di Zonalni, in Altai, in seguito al lancio di un vettore usato per portare la nave spaziale Progress M-02M alla Stazione Spaziale Internazionale.



Ma la cosa più curiosa di tutta questa storia è che i giorni in cui i razzi partono dal Cosmodromo sono momenti di festa per alcuni abitanti di quelle regioni. Bimbi e adulti attendono impazienti, con il naso rivolto verso l’alto, il lancio di un nuovo missile e non solo per godersi quello spettacolo della tecnologia moderna. Dopo qualche istante dal lancio, una legione di cacciatori di astronavi intraprende una corsa sfrenata a bordo di furgoni arrugginiti per accaparrarsi quelli che sono ormai dei ferrivecchi spaziali e iniziare a rosicchiare - con strumenti contundenti di ogni tipo - le ossa di quelle carcasse metalliche. Ossigeno, idrogeno, batterie e componenti elettrici sono solo alcuni tra i componenti nocivi ancora contenuti in quelle future rovine ma che comunque rappresentano una fortuna per questi rigattieri del secolo XXI.

Alluminio, acciaio e soprattutto titanio recuperati dai relitti spaziali rappresentano per loro veri e propri tesori caduti dal cielo. La rivendita di questi materiali nei mercati dell’usato è l’unica risorsa in grado di alimentare famiglie intere per mesi. Inoltre, data la scarsità di materie prime, quei metalli sono vitali per costruire utensili in una società basata sull’agricoltura e l’allevamento, ma totalmente abbandonata al loro destino.

Per di più – come informava nel 2001 nel suo ultimo numero la rivista Space Illustrated – pare esistere un accordo non scritto tra le forze armate delle agenzie di governo incaricate di monitorare i resti di un razzo appena caduto e i cosiddetti rigattieri. Il “dazio” che questi pagano ai militari assicura loro il bottino, fomentando così una mafia che prospera proprio grazie a questo disastro ambientale dell’era moderna.

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