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TALCO, ACETILENE E DINAMITE

Stamattina a Torino il tempo è incerto: cosa facciamo? Andiamo in miniera! Destinazione Ecomuseo Scopriminiera in località Paola a Prali (Torino).

"Indossate il casco e seguitemi" dice la guida. E così inizia un affascinante viaggio in un mondo semibuio, umido e polveroso. E fa freddo! Siamo all'interno di una miniera di talco, chiamato anche la "pietra dolce", perchè è così morbido da occupare il primo grado nella Scala di Mohs. Al tatto è proprio friabile, un po' saponoso, bianco o grigio e inaspettatamente pesante quando forma grossi blocchi. Perchè tanta fatica per estrarre il talco? A cosa serve?


La guida ci spiega che mangiamo talco quando ingoiamo una compressa: quindi il talco non fa male, ma respirarlo è un'altra cosa, è meglio evitare depositi di polveri nei polmoni. Nella nostra automobile ci sono circa 60/70 chilogrammi di talco, in quanto esso viene aggiunto alle parti in plastica per renderle meno infiammabili e più resistenti. E i sarti usano il talco per fare segni sui vestiti. Perchè, se spazzolato, va via completamente e non lascia residui. Inoltre, se viene riscaldato, il talco diventa molto duro, perchè perde acqua. E una volta era la materia prima per fare padelle.


Prima dell'avvento delle torce a batteria, i minatori usavano lampade ad acetilene, ovvero contenitori composti da due parti: in quella superiore c'era acqua e in quella sottostante carburo di calcio. L'acqua gocciola nel carburo ed ecco la magia della reazione chimica: una bella fiamma che produce luce diffusa. Tuttavia, è solo da qualche minuto che la guida sta utilizzando la lampada, e già le nostre narici vengono colpite da un acre odore di acetilene.

Per procedere nelle gallerie si usava la dinamite. Si collocavano i candelotti nelle rocce, con le micce appese come lunghi spaghetti. Si contava il numero dei candelotti e, dopo l'accensione, fuga e.... conteggio delle esplosioni. E quando i conti non tornavano? La dinamite inesplosa doveva comunque essere estratta e, purtroppo, talvolta esplodeva in faccia ai minatori.

Il problema venne poi risolto collegando in serie, in un circuito chiuso, tutte le cariche: a questo punto o esplodeva tutto o non esplodeva niente. La miccia venne sostituita da un detonatore, che si caricava tramite una dinamo, e in questo modo produceva la scintilla necessaria.

Per inserire le cariche nelle rocce servivano buchi, profondi un metro! Inizialmente si utilizzavano enormi punteruoli che venivano presi a martellate. Poi,tramite l'aria compressa, che veniva prodotta fuori dalla miniera, ma convogliata all'interno per mezzo di tubi, si sostituì il lavoro manuale con perforatrici azionate, appunto, da aria compressa. Queste perforatrici erano simili a martelli pneumatici: le conseguenze sulla salute dei minatori furono devastanti. Rumore, vibrazioni e polvere in sospensione si traducevano direttamente in danni all'udito, deterioramento del sistema nervoso e silicosi.

Alla fine della visita alla miniera parlo con il Dott. Andrea Peyrot, che è addetto alla manutenzione nonché accompagnatore naturalistico e gli spiego che Gravità Zero cerca di portare la scienza in mezzo alla gente, fra i non addetti ai lavori. Lui mi dice che a marzo 2013 non bisogna mancare un nuovo appuntamento: la probabile inaugurazione del Geoparco delle Alpi Cozie. Si tratta di un viaggio, a bordo della Geologia, nello spazio e nel tempo relativo alla formazione della catena Alpina. I lavori sono in corso di realizzazione. Non ci resta che aspettare.... e, nel frattempo, consigliarvi di visitare l'Ecomuseo Regionale delle Miniere e della Val Germanasca!


Walter Caputo e Luigina Pugno

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