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COSMOLOGIA E GRAVITAZIONE

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Nella nostra vita d’ogni giorno, per quanto la nostra mente non lo avverta direttamente, ci misuriamo costantemente con la gravità. Il semplice fatto di restare in continuo contatto con la superficie terrestre - e non rimanere sospesi a mezz’aria - o che un oggetto che ci scivola dalle mani cade inevitabilmente a terra sono chiari esempi della nostra convivenza quotidiana con questa forza naturale. La percezione che abbiamo è, quindi, quella di un fenomeno puramente attrattivo e mai repulsivo, un qualcosa che solamente può tirare e mai respingere.

Sin dai tempi più antichi la gravità è stata probabilmente, tra le quattro interazioni fondamentali (gravità, forza debole, forza nucleare forte, elettromagnetica), quella che ha avuto più influenza sulla vita dell’uomo e la prima a essere studiata. Sebbene Galileo Galilei fu chi riuscì a determinare il valore dell’accelerazione di gravità (la grandezza che regola il moto dei corpi che cadono verso il centro della Terra), viene riconosciuto a sir Isaac Newton il merito di aver spiegato in modo rigoroso cos’è la gravità.

Nei suoi Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, pubblicati nel 1687, fornì espressioni matematiche capaci di descrivere con precisione il movimento degli oggetti in un campo gravitazionale, ovvero in una regione dello spazio dominata da una sorgente di forza gravitazionale. Secondo la teoria newtoniana lo spazio (3-dimensionale) e il tempo (1-dimensionale) vengono concepiti come due entità separate ma comunque continue e assolute, vale a dire identiche per qualsiasi osservatore. Inoltre, grazie ai Principia, il fisico inglese non solo riuscì a spiegare perché le mele mature cadono dal proprio albero al suolo ma, formulando la Legge di Gravitazione Universale, illustrò anche come i pianeti si muovono attorno al Sole su orbite ellittiche complanari.

Nonostante queste idee rappresentassero una vera e propria rivoluzione non solo scientifica ma anche filosofica (e quindi sociale) per l’epoca, solo più tardi ci si accorse che il trattato newtoniano non era in grado di spiegare come mai, per esempio, l’orbita di Mercurio subisce una precessione graduale in corrispondenza del perielio (punto della sua orbita più prossimo al Sole). Quest’anomalia - effetto delle interazioni tra il pianeta e la stella - fu spiegata solo agli inizi del secolo scorso dalle teorie
introdotte da Albert Einstein, nelle quali i concetti newtoniani di spazio e tempo venivano sostituiti da altri nuovi concordi sia con la scienza teorica che con quella sperimentale. Questi cambi riguardavano la meccanica e la teoria classica delle forze e, in particolare, la gravità. Elaborando la Relatività Generale, infatti, il fisico tedesco riuscì a unificare lo spazio e il tempo in un continuo 4-dimensionale senza la necessità di considerarli come due entità separate. Pubblicata nel 1916, la celeberrima teoria afferma che la gravità è la proprietà geometrica dello spazio (e del tempo) di curvarsi attorno a qualsiasi oggetto dotato di massa o che sia fonte di energia. Secondo questa visione, di conseguenza, energia e massa diventano concetti equivalenti, ed entrambi sono capaci di “piegare” lo spazio-tempo. Questo significa che se un astro emette fotoni che attraversano un oggetto massiccio come il Sole, quest’ultimo è in grado di modificare il loro percorso mentre in assenza di gravità/materia queste particelle seguirebbero traiettorie rette.
Tuttavia, sebbene formulate più di quattro secoli fa, le teorie newtoniane vengono ancora oggi considerate valide per spiegare la maggior parte dei fenomeni fisici sia terrestri che cosmici. Da un punto di vista astronomico, ugualmente, la Relatività Generale non solo è in grado di spiegare la precessione dell’orbita di Mercurio ma, negli anni, ha anche reso comprensibile un gran numero di altri fenomeni inspiegabili in altro modo.

Einstein, in definitiva, concepiva la gravità non come una forza bensì come manifestazione della deformazione dello spazio-tempo, il quale viene generato dalla presenza di una massa: quanto maggiore è la sua densità tanto più grande sarà la distorsione dello spazio-tempo. Citando la famosa frase del fisico teorico John Wheeler potremmo riassumere questi concetti dicendo che “la materia dice allo spazio-tempo come curvarsi mentre lo spazio-tempo dice alla materia come deve muoversi”.

Per semplificare e dare un’idea di come Einstein “vedeva” la gravità potremmo considerare lo spazio-tempo come una tela elastica infinita. Se collochiamo su di essa un oggetto con una certa massa, osserveremo un avvallamento o curvatura del tessuto. Analogamente se supponiamo che l’oggetto si muove con un moto regolare (vibratorio, rotazionale, ecc.), allora il suo movimento provocherà deboli increspature che si propagheranno lungo tutto il lenzuolo: le cosiddette onde gravitazionali. Tali oscillazioni, descritte anche come “rughe dello spazio-tempo”, vengono pertanto emesse come radiazione gravitazionale che - come l’elettromagnetica - viaggia alla velocità della luce.

Dato che molti degli scenari astrofisici vengono considerati come perfetti laboratori per verificare le teorie che abbracciano le diverse aree della fisica (reazioni termonucleari, dinamica dei fluidi, teoria quantica, ecc.), l’Universo è considerato come un banco di prova ottimale per accertare anche l’esistenza della radiazione gravitazionale. I buchi neri supermassicci (con masse di milioni di masse solari), ad esempio, sono considerati potenziali candidati da cui potrebbe arrivare questa informazione. Poiché non emettono direttamente radiazione elettromagnetica, poter riuscire a individuare la loro emissione gravitazionale sarebbe l’unico modo per studiare direttamente questi oggetti stellari. A livello galattico, invece, sappiamo che la Via Lattea contiene qualcosa come 1011 stelle, la metà delle quali legate da un punto di vista gravitazionale almeno a un altro corpo celeste. Tra queste, le coppie di stelle formate da nane bianche, stelle di neutroni o buchi neri - gli abitanti più vecchi del Cosmo - sono ritenute sorgenti importanti di onde gravitazionali.

Anche se al giorno d’oggi non sia ancora stata rilevata nessuna di esse, proprio lo studio di un sistema con queste caratteristiche ha fatto registrare la prima evidenza indiretta della loro esistenza. Joseph Taylor e Russell Hulse nel 1993 ottennero il riconoscimento del Premio Nobel per la Fisica per i lavori realizzati su PSR 1913+16, un sistema binario formato da due stelle di neutroni di cui una è in rapida rotazione attorno al proprio asse (una pulsar). La variazione periodica osservata nel ritmo di pulsazione di quest’ultima farebbe pensare a una precessione della sua orbita di quattro gradi ogni anno, conseguenza della perdita di energia per emissione di onde gravitazionali.

Per definizione, un'onda è una perturbazione che si propaga attraverso lo spazio trasportando energia. Matematicamente parlando, l’onda più semplice da descrivere è quella sinusoidale (con forma della funzione seno), caratterizzata da una velocità di propagazione, un periodo (o tempo necessario affinché un ciclo completo di oscillazione venga completato), la frequenza (l’inverso del periodo) e la lunghezza d'onda (lo spazio percorso dall'onda in un intervallo di tempo pari al suo periodo) e l’ampiezza dell’oscillazione dell'onda.
Nel caso delle onde gravitazionali le cose si complicano un pò. Senza entrare troppo nei particolari, supponiamo di avere un corpo di massa m a distanza d dall’osservatore e che si muove a velocità v; l’ampiezza di un’onda gravitazionale hij può essere approssimata dall’equazione che definisce la variazione dello spazio-tempo:

hij ≈ ε*(G*m/d*c2)

con ε = v/c2 (c2 il quadrato della velocità della luce, 300.000 km/s) e G la costante di gravitazione universale . Per dare un esempio numerico, l’ampiezza dell’onda generata da una stella di neutroni situata nell’ammassi di galassie della Vergine è dell’ordine di (G*m/d*c2) ≈ 10-21. Questo valore microscopico rappresenta il problema principale che finora ha impedito l’indagine diretta delle onde gravitazionali dal momento che la perturbazione provocata dal suo passaggio è estremamente debole e, pertanto, difficile da misurare. Attualmente diversi osservatori sparsi su tutta la superficie terrestre (VIRGO, LIGO, GEO, TAMA, AURIGA, NAUTILUS, ALEGRO ed EXPLORER) si dedicano esclusivamente alla ricerca di possibili radiazioni gravitazionali, ma il loro studio presuppone un altissimo livello di precisione e sensibilità che non è ancora stato raggiunto dalle tecnologie moderne.

D’altra parte, anche l’analisi dei fenomeni violenti ed esplosivi dell’Universo potrebbe aiutare la ricerca di questa radiazione. Le supernove, ad esempio, benché complicate da un punto di vista della descrizione teorica in termini di leggi conosciute della fisica, possono emettere (per un tempo molto breve) onde di questo tipo durante un’esplosione. Eppure, se c’è uno scenario privilegiato dagli esperti per la produzione di onde gravitazionali questo è sicuramente il Big Bang. Sappiamo che, dopo più di 13 miliardi di anni dalla Grande Esplosione, una parte della radiazione globale emessa è ancora diffusa nello spazio intergalattico sottoforma di un fondo cosmico di microonde (Cosmic Microwave Background, o CMB nella sua sigla in inglese). Tuttavia, se il suo studio ci permette di “andare indietro nel tempo” fino ai suoi primi 300.000 anni di vita, il fondo di onde gravitazionali primordiali (Relic Gravitational Waves o RGW) potrebbe rivelare cosa successe dopo 10-24 secondi dalla nascita dell’Universo fino ai giorni nostri.

E proprio qualche settimana fa uno studio pubblicato sulla rivista Nature da una forte collaborazione internazionale (nella quale l'Italia ha un ruolo di spicco) annunciava aver rilevato, per la prima volta, il profilo delle onde gravitazionali generate dal primo minuto di vita dell'universo. “Sincronizzando” le antenne interferometriche dell’italiano Virgo, che si trova a Cascina (Pisa), e di quello statunitense Ligo gli scienziati ritengono di aver “ascoltato” l’eco di una sovrapposizione di diverse onde che governarono il comportamento dell’Universo durante il primo minuto dopo il Big Bang.

E’ facile intendere quindi che, se l’esistenza dell’ultima predizione della teoria di Einstein venisse finalmente verificata, l’astronomia delle onde gravitazionali non solo getterebbe le basi per la nascita di una nuova disciplina scientifica - la cosmologia gravitazionale - ma fornirebbe una visione completamente inedita del Cosmo.
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