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"Henry Taylor e la macchina del tempo": una micro storia per un micro black hole

Il dado è tratto, pochi secondi di fascio ed Henry Taylor notò una strana discrepanza tra il suo orologio e quello della sala controllo. Eppure alle 8,30 entrambi gli orologi segnavano la stessa ora. Alle 9.20 è stato ignettato il fascio nell'LHC e fino a quel momento gli orologi erano perfettamente sincronizzati. Tutto sembrava procedere al meglio. I fasci di protoni stavano collidendo, la linea di acquisizione dati segnalava la presenza di un evento ogni due o tre secondi. Qualcosa di strano però c'era. Gli eventi da un certo punto in avanti sembravano instabili e i risultati apparivano del tutto inattesi. Un eccesso di radiazione gamma stava riducendo l'efficienza del sistema. Ad un tratto Henry notò che tutte le tracce prodotte nella collisione tendevano a richiudersi su un solo punto scomparendo. L'orologio della camera stava rallentando sempre di più. Ormai le tracce erano praticamente scomparse, il fasci venivano inglobati in uno spazio pressoché puntiforme. Un microscopico buco nero stava risucchiando tutti i protoni del fascio alimentandosi dell'energia dell'LHC. Henry urlò stop stop, ma ormai il buco nero doveva essere di circa un milligrammo. Ad acceleratore spento, nel vuoto della camera di collisione, il tempo ormai procedeva con un diverso ritmo. Il problema era ora come fare ad estrarlo dalla camera; posto a contatto con l'atmosfera avrebbe potuto rapidamente risucchiare tutta l'aria del pianeta. Il micro black hole ormai attratto dal campo gravitazionale terrestre doveva essersi depositato sulla parete inferiore della camera risucchiando tutti gli elettroni di conduzione del metallo. Henry pensò che se il micro black hole fosse stato carico e non neutro, avrebbe potuto essere confinato elettromagneticamente in una scatola non più grossa di dieci centimetri per dieci e immagazzinato più o meno come una scatola di sardine. Henry Taylor provò un brivido, la macchina del tempo poteva diventare una realtà.

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