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DIVULGAZIONE SCIENTIFICA E NUOVI MEDIA

Molto interessante la riflessione di Paolo Amoroso sul blog Avventure Planetarie sul ruolo che possono avere i nuovi media nella diffusione della cultura scientifica.

Ne cito qui alcuni punti:

L'introduzione dei nuovi media Internet nella divulgazione scientifica non dovrebbe fare dimenticare che la familiarità degli utenti con questi strumenti è ancora bassa.

La capacità di consultare i siti web sta migliorando, ma i problemi di usabilità rendono difficile servirsi di siti e applicazioni più complesse. Difficoltà che non riguardano solo gli adulti ma anche i giovani, che non hanno maggiore successo con il web contrariamente a quanto il loro elevato consumo di tecnologia faccia pensare. In Italia il problema è accentuato dalla diffusione di Internet ancora relativamente limitata.

[...]

Matthew Nisbet sul blog Framing Science parla del potenziale dei siti di social networking per raggiungere pubblico non tradizionale per la scienza. Una delle ragioni principali è che possono facilitare ciò che Nisbet definisce "incidental exposure":

The challenge then is to find ways to "incidentally" expose audiences to science in places where they are not looking for it, playing on their strong entertainment-centric predispositions to guide Web surfers, channel jockeys, and book browsers back to science-rich content.

Mi pare che si possano fare delle riflessioni interessanti su quanto e come i divulgatori scientifici e i ricercatori italiani usino (o meglio, non usino) strumenti come i blog e i siti di social networking per avvicinare il pubblico alle loro ricerche. Ma anche i media tradizionali. Cosa che ad esempio oltreoceano è ormai cosa assodata.

Leggete ad esempio il messaggio che diede il Royal Society Report on the Public Understanding of Science nell'ormai lontano 1985:

"Il nostro messaggio più urgente e diretto è quello agli scienziati stessi: imparate a comunicare con il pubblico, siate disposti a farlo e considerate vostro dovere farlo".

Un esempio per tutti... che dimostra lo sforzo dei centri di ricerca d'oltreoceano: i centri di ricerca americani hanno dipartimenti attivati con lo scopo di divulgare le ricerche che si svolgono al loro interno all'opinione pubblica [a questo proposito leggete la nostra intervista ai resp. dello Space Telescope Science Institute di Baltimora].

Perché questo interesse americano verso la divugazione? In sintesi, se l'opinione pubblica non conosce quanto viene svolto all'interno dei laboratori, non sarà neppure incentivata a convincere la classe politica a finanziare le ricerche.

Oggi la società vuole sapere chi sei e cosa fai, perché spendi soldi pubblici, e realizzare un sito web in cui lo spieghi in maniera chiara, in modo che lo possano capire anche i bambini, è il minimo che si aspettino, collaborando con programmi televisivi ad esempio, organizzando eventi itineranti e interattivi. Il punto di vista della scienza che pensa: "So cosa è meglio per te ma non te lo spiego perché tanto tu non lo puoi capire", ormai non paga più!

Sono argomentazioni, queste, condivise da chi fa divulgazione, argomentazioni che ritroverete in un saggio, "Comunicare la scienza, kit di sopravvivenza per ricercatori" scritto da Giovanni Carrada per Sironi Editore.

Il rapporto con la gente - si dice - è come un matrimonio: ci si conquista la fiducia del pubblico con fatica e si perde fiducia con facilità. Un clima di fiducia la si conquista aprendo i canali comunicativi, utilizzando i nuovi media per fare breccia nei più giovani.

Nonostante l'impatto che la scienza ha nella vita di tutti noi, però, non esiste nulla di paragonabile, ad esempio, alla sofisticatezza dei mezzi utilizzati dal marketing o dalla pubblicità.

Purtroppo chi si occupa di ricerca scientifica ha ancor oggi poca dimestichezza con i mezzi di comunicazione e peggio ancora con i nuovi media. Esistono come sempre le eccezioni, ma quanti sono ad esempio i ricercatori che in Italia curano un blog personale? O anche solo le università che si rivolgono ai giovani utilizzando il loro stesso linguaggio?

Due esempi per tutti che spiegano come si procede oltreoceano:

Il seguente www.mitadmissions.org è il blog con cui l'Università più quotata al mondo (vanta la più alta concentrazione di premi Nobel, Lasker, Turing, Gairdner) si rivolge ai giovani. Sia tratta del blog ufficiale che viene redatto dagli stessi studenti che forniscono informazioni di prima mano sulle matricole che intendono accedere al prestigioso ateneo.
Semplicemente, l'ateneo si era accorto che erano sorti negli anni precedenti numerosi blog ad opera di studenti che fornivano informazioni su come accedere e frequentare le lezioni. Perché allora, hanno pensato al MIT, non realizzare un Blog ufficiale, in cui gli stessi studenti potevano esprimersi, aiutando i propri neocolleghi?

Berkley invece ha scelto YouTube come canale per fare breccia tra i giovani: it.youtube.com/ucberkeley seguire le lezioni on line è diventato un must anche per noi italiani!


All'estero sono sempre di più i ricercatori e gli scienziati che usano il blog come forma di divulgazione...

Alcuni esempi che parlano da soli:

Richard Borcherds vincitore della medaglia Field del 1998 cura un blog davvero interessante con un livello di discussione molto alto.
http://borcherds.wordpress.com

Il blog "The Lancelet" di MARTIN BRAZEAU (dottorando canadese) è invece nei primi posti in classifica dei blog più letti e cliccati secondo Technorati
http://lancelet.blogspot.com/

Il blog di Terence Tao (anch'egli vincitore della Medaglia Fields nel 2006) tratta teoria dei numeri, analisi armonica, ecc.
http://terrytao.wordpress.com


Un argomento, quello della comunicazione con i nuovi media, complesso e importante, su cui torneremo a parlare...

Claudio Pasqua

1 commento

Paolo Amoroso ha detto...

Non mi sono chiare le ragioni dello scarso uso di questi strumenti da parte dei ricercatori italiani. Qualche opinione in proposito?

Grazie dell'interesse per il mio post.