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Chi critica Beatrice Venezi non capisce nulla di musica (né di cultura)

La battaglia contro la Venezi non ha nulla a che fare con la sua bacchetta o con le sue capacità.  


La recente nomina di Beatrice Venezi a direttore musicale del Teatro La Fenice di Venezia ha scatenato una bufera che va ben oltre il merito artistico. Il pretesto? Un curriculum “insufficiente”. La verità? La Venezi ha avuto l’ardire di non essere allineata all’egemonia ideologica della cultura italiana.

Il 22 settembre, in un comunicato scarno, la Fondazione del teatro ha annunciato che dal 2026 Venezi sarebbe stata alla guida musicale della Fenice. La reazione immediata degli orchestrali è stata di fuoco: l’accusa principale era di non essere stati consultati, un dettaglio che il sovraintendente Nicola Colabianchi aveva già previsto, temendo le polemiche che, infatti, sono esplose puntuali.

Ma le lamentele “ufficiali” celano altro: gli orchestrali sostengono che Venezi non abbia mai diretto un’opera o un concerto sinfonico alla Fenice, né in teatri internazionali di primo piano, e che quindi il suo curriculum non reggerebbe il confronto con quello dei grandi predecessori.

Ora, a parte il fatto che Venezi ha solo 35 anni e, come molti giovani direttori, sta ancora costruendo la sua carriera, il vero nodo della vicenda non è professionale, ma politico. Venezi è di destra. E questo, per i soliti critici, è un reato imperdonabile. La musica, in Italia, sembra avere un unico colore: quello del progressismo di sinistra, capillarmente radicato in teatri, conservatori, scuole e università. Chi osa fare eccezione viene automaticamente bollato come “inadatto” o peggio.

La storia di Venezi lo dimostra: figlia di un dirigente di destra, nominata consigliere musicale dal ministro Gennaro Sangiuliano, apertamente schierata a destra, e infine scelta da un sindaco di centrodestra. Tutti elementi che, per la sinistra culturale, bastano a screditarla senza neanche ascoltare una nota.

Il paradosso è evidente: i giovani musicisti di sinistra, con curriculum spesso non più brillanti, sono accolti a braccia aperte e promossi nei teatri più prestigiosi. Venezi, invece, pur essendo competente e in crescita, diventa un bersaglio perché non ha la “giusta” tessera ideologica. La meritocrazia, in questo contesto, è un optional. Ciò che conta è essere allineati alla linea gramsciana che domina la cultura italiana da decenni.

Ma c'è di più: per oltre quindici anni, La Fenice ha operato senza un direttore musicale stabile, affidandosi a collaborazioni esterne e a direttori ospiti. L’ultimo direttore principale effettivo, Diego Matheuz, fu nominato nel 2011 a soli 27 anni, con un’esperienza ben più limitata del direttore Beatrice Venezi,  in gran parte maturata all’interno del progetto venezuelano El Sistema (guarda caso un progetto considerato di sinistra). 

Gli orchestrali e i sindacati protestano contro la “lottizzazione” dell’arte, ma il loro vero problema non è la politica della nomina: è che per una volta il podio non è occupato da un adepto del pensiero unico. In Italia, se sei di sinistra, sei automaticamente legittimato; se sei di destra, anche un talento straordinario diventa sospetto. E Venezi ne paga il prezzo.

Insomma, la battaglia contro la Venezi non ha nulla a che fare con la sua bacchetta o con le sue capacità. È una battaglia per preservare un monopolio ideologico. Chi critica la sua nomina dimostra di non capire nulla né di cultura né di musica: l’arte non dovrebbe avere un colore politico, e chi prova a imporne uno sta tradendo lo spirito stesso della Fenice.

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