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BUCHI NERI GIGANTI IN ROTAZIONE: RISOLTO UN ENIGMA CHE DURAVA DA OLTRE 20 ANNI

Osservati per la prima volta con certezza gli effetti estremi di un buco nero supermassiccio in rapida rotazione sulla radiazione X emessa dalla regione intorno ad esso. 

Visione artistica degli effetti della rotazione di un buco nero 
sulla radiazione da esso prodotta. Crediti: NASA/JPL - Caltech 
Un risultato di grande importanza per testare le predizioni della Teoria della Relatività Generale di Einstein e che fornisce agli astrofisici informazioni fondamentali per ricostruire la storia dell’evoluzione dei buchi neri di grande massa e delle galassie che li ospitano. 

A guidare il team internazionale di ricercatori che ha realizzato lo studio, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature, è Guido Risaliti, dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri.

È grazie alla sinergia di due degli osservatori spaziali oggi più avanzati per lo studio dell’astrofisica dell’estremo, XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea e NuSTAR della NASA che sono stati finalmente registrati con certezza gli effetti della vorticosa rotazione di un buco nero gigante, avente una massa di milioni di volte quella del nostro Sole e dei suoi poderosi effetti che si manifestano sulla radiazione X che è emessa vicino ad esso. Effetti che sono dovuti all’eccezionale campo gravitazionale del buco nero e che trovano un ottimo accordo con le predizioni fornite dalle equazioni della Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein applicate a questo esotico oggetto celeste. Si risolve così un enigma che si protraeva da più di venti anni. Che cioè a provocare la variazione pronunciata di alcune caratteristiche della radiazione nei raggi X emessa dai buchi neri di grande massa fossero gli effetti estremi prodotti dalla forza di gravità generata dagli stessi buchi neri in rapida rotazione.

“Prima di queste osservazioni combinate, non potevamo dire con certezza se la deformazione dei profili della radiazione X dei buchi neri già osservati con XMM-Newton fossero dovuti a fenomeni relativistici legati a rapidissima rotazione o invece a nuvole di gas e polveri presenti attorno ad essi” spiega Guido Risaliti, ricercatore dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri, che ha guidato la ricerca condotta insieme a colleghi statunitensi, inglesi e danesi pubblicata nell’ultimo numero della rivista Nature. “I modelli teorici che descrivono e riproducono l’andamento dello spettro dei raggi X nei due diversi scenari fornivano, per entrambi, risultati in grado di spiegare piuttosto bene gli andamenti registrati”.


Immagine nella luce visibile della galassia NGC 1365,
osservata dal Very Large Telescope dell'ESO. Crediti: ESO
A superare questa incertezza hanno contribuito le prime osservazioni del nuovo telescopio spaziale NuSTAR lanciato dalla NASA nel giugno scorso. Come ‘bersaglio’ iniziale NuSTAR ha puntato la galassia NGC 1365, distante circa 60 milioni di anni luce che ospita nel suo centro un buco nero di grande massa: circa 2 milioni di volte quella del nostro Sole, già scandagliato nei raggi X da XMM-Newton. 

Poiché NuSTAR è in grado di registrare radiazione in una frequenza più alta rispetto a XMM, è riuscito ad aggiungere il “colore mancante” nello spettro di emissione X del buco nero, decisivo per ottenere una spiegazione univoca di quanto osservato. “Le osservazioni di NuSTAR del buco nero al centro della galassia NGC 1365, insieme a quelle di XMM ci hanno permesso di affermare con certezza che quel ‘mostro’ ruota a una velocità elevatissima, vicina a quella massima consentita dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein” prosegue Risaliti.

Un risultato, quello ottenuto per NGC 1365, di primaria importanza per migliorare la comprensione della fisica dei buchi neri e per poter testare le predizioni fornite dalla Teoria della Relatività, ma non solo. I buchi neri supermassicci, che possiedono masse di milioni o addirittura miliardi di volte quella del Sole, hanno infatti raggiunto questa ‘stazza’ nel tempo, secondo processi molto diversi tra loro: per accrescimento continuo e ordinato, ‘risucchiando’ progressivamente materiale da stelle e gas circostanti oppure in modo più violento, dallo scontro e fusione di buchi neri più piccoli. In base a queste differenti storie evolutive, si può prevedere una differente velocità di rotazione del buco nero risultante. Quindi, misurare la vorticosità di un buco nero fornisce informazioni fondamentali sulla storia del suo accrescimento e quindi di tutta la galassia che lo ospita.

“Nel caso di NGC 1365 riteniamo che questo accrescimento sia avvenuto in modo continuo, tramite il progressivo accrescimento di materiale che spiraleggiando attorno al buco nero gli trasferisce energia, accelerandone la sua rotazione” prosegue Risaliti. “Adesso ci aspetta ancora tanto lavoro e non vediamo l’ora di sfruttare questa tecnica su altri buchi neri, forti dei risultati precedentemente acquisiti dal solo satellite europeo XMM-Newton di cui adesso ci possiamo fidare di più, in quanto abbiamo verificato che l’interpretazione basata sulla Relatività Generale è quella corretta”.


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