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IL NEUTRINO LIVINGSTONE

Un racconto di Olimpia D. Onelli


Foto di LievenVM - creative commons
Cambridge li ha uniti e Cambridge li ha separati. 

Era così dolce lo sguisciare delle gomme, un po' lisce forse, sull'asfalto nelle mattine grigie e umidissime. Questo stormo di studenti, più piccioni che albatri forse, che si allungava per le vie sotto l'ordine muto di un semaforo.

E' lì che si sono incontrati. Che si sono visti. Che si sono amati.

Certe volte lei lo aspettava nella sua stanza, una stanza da tipica studentessa a cui piacerebbe essere speciale, guardando giù dalla finestra, giù nel parcheggio delle biciclette. Tutto ghiaia e niente ardore. 
Poi arrivava lui, rattrappito sulla sella, non era il suo mezzo la bici, forse sarebbe stato meglio su una nave, un vascello o magari un razzo velocissimo. 

Rattrappito, dicevamo, ma con i capelli che odoravano di sole. 
Certe altre volte le piaceva andare giù ad aspettarlo, seduta sul muretto di cinta, le gambe a penzoloni. 
Avrebbe voluto fare una foto di quell'attesa e catturarne l'odore di terra bagnata e di foglie. 

Dicono che l'estate in Inghilterra sia un giorno bellissimo, ma un giorno solo. Io credo che tante cose ce le aspettiamo lunghe come una stagione e poi sono solo un istante. Ma l'estate inglese è così bella che può tenterti lucido per tutto l'inverno, e non c'è neanche fretta, bisogna aspettare. Così lei aveva aspettato lui, le prime volte. Poi quando lui tardava lei apriva un libro e potevano essere poesie o romanzi o qualche dispensa mal digerita. 

Il ciclista incartapecorito adorava sorprenderla così, distratta ad aspettarlo. Poi quel che li aveva uniti li separò. 

Venne il tempo delle lauree, degli allori e dei titoli altisonanti. Erano sempre i nostri due cuori, ma con un Master in fisica delle particelle. A testa. Il cuore e la testa. Per loro era sempre stato così difficile trovare l'equilibro. La ragione e il sentimento. 

Chiamatela deformazione professionale se volete ma io direi che a lavorare tutti i giorni in metri secondi kili poi ad un certo punto si perdono di vista quelle cose piccole importanti. Tipo il vento fra i capelli. 

Beh, loro si erano tenuti lontano dal grigio. Si erano conquistati una zona al riparo dagli autovettori, dalle matrici invertibili e tutto quel fardello che ci serve per descrivere anche solo un tramonto. 
Se l'erano conquistato coi denti, il loro spazio. Dove anche la fisica tornava ad essere una compagna piuttosto che un muro sordo. 

Poi l'incantesimo era finito e i loro curricola erano stati centellinati da presunti talent-scout, ripartiti, sezionati, riletti, accantonati chissà forse sottolineati se c'è ancora qualcuno a cui piace la carta. 
Poi forse c'erano persone vere dietro ma vai tu a sapere.
E così erano finiti a lavorare insieme.  Ma divisi da (730534.610± 0.200) m: lui a Ginevra e lei al Gran Sasso. 

Dicono che il fenomeno del quantum entanglement sia la più romantica scoperta della scienza moderna. 
Io vi dico che ho una teoria: i neutrini non viaggiavano più veloci del previsto per qualche esotico motivo, fosse la curvatura spazio-temporale o un semplice errore, siamo così umani. 

No, non era quello. Era lui. 
Era lui che collimava questo fascio di neutrini sapendo che sarebbe arrivato da lei.
Il più veloce messaggio d'amore di cui si ha notizia. E desiderava così tanto essere da lei. 

Se desideri essere con una persona, forse non ci sei già?

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Questo racconto partecipa alla XXXI edizione del Carnevale della Fisica

1 commento

Unknown ha detto...

è bello iniziare una giornata di lavoro con una bellissima ed emozionante storia d'amore nata tra mille fasci di neutrini!

grazie