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OLTRE LA FRONTIERA QUANTISTICA: UNA STORIA APPASSIONANTE

Massimo Auci
OdisseoSpace

(Parte quarta)
4. – L’origine della quantizzazione

Dapprima non mi preoccupai troppo dell’accordo formale del modello con la teoria Quantistica ma preferii dedicarmi al calcolo dell’energia localizzata nella zona sorgente. L’energia prodotta risultava calcolabile a partire dalla conoscenza della funzione di struttura del campo elettromagnetico che circondava il dipolo e dalla durata della collisione tra le cariche.

All’epoca, la mia conoscenza della Meccanica Quantistica, per quanto non fosse approfondita, era sufficiente per permettermi di distinguere dei risultati promettenti da calcoli inutili. Considerando che la forma matematica dell’energia localizzata nell’intorno della sorgente era in accordo con l’energia di un fotone e che la quantizzazione era stata introdotta ai primi del 900’ solo come una comoda ipotesi per giustificare dei risultati sperimentali altrimenti non comprensibili, ma che nessun modello o teoria nota era in grado di prevedere e tanto meno di spiegare in termini fenomenologici, i risultati che stavo ottenendo erano sicuramente eccezionali.

Nell’intorno della sorgente si localizzava un’energia formalmente corrispondente a quella di un “quanto”, equivalente cioè all’energia di un fotone (particella di luce), proporzionale alla frequenza che caratterizzava l'emissione della sorgente elettromagnetica. La costante che compariva nell'espressione dell'energia, per quanto fosse numericamente determinabile, era da calcolare: aveva le dimensioni fisiche giuste, cioè quelle di un’energia per un tempo, e poteva essere a buona ragione considerata l’equivalente teorico del “quanto d’azione”, detta anche costante di Planck.

La costante di Planck è passata alla storia della fisica moderna per essere il primo degli elementi concettuali che hanno portato alla nascita e all’affermazione della Meccanica Quantistica, proprio la sua introduzione a opera di Max Planck e la successiva giustificazione in termini fenomenologici ad opera di Albert Einstein, hanno potuto spiegare il comportamento sino ad allora incomprensibile dello spettro della radiazione elettromagnetica in equilibrio termico con la materia, detto “spettro di corpo nero”. Come tutte le costanti fisiche fondamentali, proprio perché “fondamentale”, il suo valore ha sempre avuto il privilegio di non dover essere calcolato o giustificato a partire da alcuna teoria, ma solo misurato sperimentalmente.

Con grande emozione mi resi conto che l’energia della sorgente prodotta nella collisione tra le due cariche era equivalente a quella di un fotone e l’accordo con la Meccanica Quantistica sarebbe stato anche quantitativo oltre che formale, se la costante fosse stata proprio uguale a quella di Planck. Utilizzando come carica elettrica di prova quella dell’elettrone, la costante era equivalente alla costante di Planck pur non avendo ancora determinata. Un risultato sicuramente sperato ma anche inaspettato, soprattutto considerando l'origine elettromagnetica del modello. Ora bisognava calcolare il fattore numerico mancante dovuto alla struttura del campo.

Una delle costanti più enigmatiche della fisica moderna è la costante di struttura fine, detta costante “alfa”, solitamente la sua approssimazione è indicata come 1/137. Enigmatica non perché non si sappia da dove derivi, anzi nell’ambito della fisica atomica lo si sa molto bene, è definita a partire da un mixing di costanti fondamentali: il quadrato della carica dell’elettrone divisa per il prodotto della costante di Planck con la velocità della luce; ma perché è un numero puro, privo di unità di misura di cui non si conosce il perchè fisico del suo valore. Dovuta a Sommerfeld, è anche la costante d’accoppiamento tra carica e campo elettrico, quindi determinante nell’accoppiamento tra elettroni atomici e campi elettrici esterni. Nel 1980, a proposito della costante alfa, Dirac scrisse: “una teoria elettrodinamica valida dovrebbe poterne spiegare la natura” e ancora, Richard Feynman scrisse: ”sembra che sia stata scritta dalla mano di Dio, ma noi non sappiamo come egli abbia mosso la sua penna per ottenerla”.

Essendo la costante di struttura fine definita a partire da costanti fondamentali come la costante di Planck, la carica dell’elettrone e la velocità della luce, rovesciando la definizione è ovviamente possibile scrivere la costante di Planck a partire dal valore della costante di struttura fine, della carica elettrica e della velocità della luce, ma questa ridefinizione del quanto d'azione, non ha alcun senso fisico, perché alfa non è fondamentale, quindi sperimentalmente misurabile. Nonostante ciò, essendo presente nel modello un'espressione matematica ben precisa della costante alfa, dopo numerosi tentativi per calcolarne il valore, ben sapendo che perché i conti tornassero avrebbe dovuto essere uguale al valore noto, dovetti desistere a causa della lunghezza e delle difficoltà di calcolo. Pagine e pagine non bastavano a raggiungere il risultato. Dovetti ripiegare su metodi numerici, meno precisi ma sicuramente più agevoli. All’epoca i computer erano meno avanzati e veloci di quanto lo siano oggi. Per ottenere i primi risultati ci vollero quasi ventiquattro ore di tempo macchina. I risultati furono poco precisi ma incoraggianti. L’ordine di grandezza della costante di Planck era assolutamente rispettato, sussisteva tuttavia ancora un’arbitrarietà legata alla distanza d’interazione delle cariche all’interno della zona sorgente. Quale doveva essere il valore di distanza media d’interazione da considerare fisicamente corretto per il calcolo della costante? Dopo molti tentativi e revisioni del modello, compresi che l’arbitrarietà non poteva essere eliminata, ma solo aggirata attraverso l’uso di valori medi ponderati sulla base dell’evoluzione dinamica e spaziale delle cariche durante l’interazione, per questo, la conoscenza dei limiti spaziali della zona sorgente nel dipolo fu determinante. Non fu facile, ma quando il computer restituì il calcolo finale non credevo ai miei occhi. La costante alfa era lì, calcolata con una precisione di una parte per milione, cioè solo la sesta cifra presentava un’incertezza, e incredibilmente quel numero aveva un preciso significato fisico, dal suo valore dipendeva la capienza energetica della sorgente, quindi la quantità di energia elettromagnetica localizzabile durante la collisione. Ciò significava che ogni coppia di cariche interagendo produceva sempre una sorgente con la stessa capienza, e la cui energia effettiva dipendeva solo dalla durata della collisione o dalla minima distanza d’interazione. La cosa più incredibile fu però che per definire alfa non occorreva alcuna costante fondamentale, il suo valore era completamente calcolabile teoricamente a partire dalla conoscenza della struttura geometrica del campo elettromagnetico della sorgente.
Non solo il modello permetteva di prevedere il principio di quantizzazione dell’energia, ma permetteva anche di calcolare con una precisione elevatissima e per la prima volta, le costanti di struttura fine e di Planck, stabilendone la sua non fondamentalità. Ad ogni modo avevo provato che la quantizzazione dell’energia compariva come una diretta conseguenza della mancanza di simmetria sferica nel modo di emettere di una sorgente di dipolo; un effetto dovuto al divario tra il mondo microscopico dell’interazione a confronto con il mondo macroscopico degli osservatori.

L’analisi del modello di interazione dipolare, metteva in evidenza un ulteriore fenomenologia. Indipendentemente dalla loro distanza minima, una qualunque coppia di cariche era in grado di generare una sorgente di dipolo, quindi ogni carica era in grado di formare una sorgente con ogni altra carica di segno opposto nell’Universo, mettendo di fatto in correlazione tutta la materia in esso contenuta: due o più fotoni possono quindi essere correlati in quanto prodotti da particelle cariche di cui una in comune. I destini di ogni particella possono perciò non essere estranei, in quanto energeticamente legati per mezzo delle sorgenti. Questo aspetto, del tutto nuovo sull’orizzonte della fisica moderna, potrebbe perciò essere in grado di giustificare il legame esistente tra particelle identiche previsto da Jhon Bell e non ancora spiegato dalle attuali teorie standard. (continua)

Bibliografia
(1) M.Auci. “A Conjecture on the Physical meaning of the transversal component of the Poynting vector. III. Conjecture proof and physical nature of fine structure constant”. Phys. Lett. A 150 (1990) 143.
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